“Sulle rinnovabili non avete capito il gap informativo di cui soffriamo in Sardegna”. Emmanuele Farris è docente di Botanica presso l’Università degli Studi di Sassari e presidente pro tempore della sezione sarda della Società botanica italiana. Ha scritto una appassionata lettera aperta a Green&Blue dopo la pubblicazione di un articolo che provava a spiegare la scelta in controtendenza della nuova giunta regionale sarda: mentre ovunque in Europa e negli Usa il centrosinistra spinge per le rinnovabili, a Cagliari la neoeletta governatrice Todde ha varato una moratoria di 18 mesi.
Professor Farris, lei è contrario a eolico e solare?
“Personalmente sono favorevolissimo alle rinnovabili, come tanti in Sardegna. Sono però molto perplesso sulla strada che porterà allo sviluppo delle rinnovabili nella nostra regione”.
Cosa contesta esattamente dell’articolo di Green&Blue?
“Una certa visione ‘centralista’. E’ stata etichettata come ‘ostile’ alle rinnovabili tutta l’opinione pubblica sarda. Senza dare spazio alle diverse voci che pure ci sono”.
Ha qui l’occasione per far sentire la sua di voce…
“E quella dei botanici sardi di cui sono temporaneamente il coordinatore”.
É dunque sbagliato dire che in Sardegna c’è una amplia contrarietà alle rinnovabili, tanto che persino l’alleanza di centrosinistra in campagna elettorale ha evitato di prendere impegni per lo sviluppo di questo settore?
“Vorrei che si capisse che in questo momento in Sardegna ci si interroga: nessuno ha dato un sì o un no. Lo stesso dispositivo di moratoria della giunta Todde è fatto per prendere tempo”.
Ma 18 mesi sono un tempo lunghissimo per un settore in così rapida evoluzione…
“Il problema è che in questa vicenda gioca un ruolo cruciale l’informazione. E in Sardegna per ora si sente una voce sola: il gruppo Unione Sarda-Videolina sta facendo un martellamento incredibile: sulle pagine del quotidiano ogni giorno c’è un attacco a un ipotetico impianto eolico off shore, senza spiegare se si tratti di progetti già approvati o solo presentati. Si diffondono allarmi che giustamente preoccupano la società: le pale eoliche off shore avrebbero un impatto sulle migrazioni dei tonni; mentre quelle a terra renderebbero più complesse le operazioni di spegnimento degli incendi boschivi; e poi andrebbe valutato l’impatto sul turismo: c’è la possibilità che rendano meno attraenti le spiagge di alcuni tratti della costa sarda con conseguenti perdite economiche? Ecco, i sardi hanno bisogno di qualcuno super partes che risponda a domande come queste”.
Tutti gli impianti di rinnovabili a livello nazionale devono passare al vaglio della Commissione Via-Vai che conta su decine di esperti in ogni campo, da quello giuridico e quello ambientale. Non è sufficiente?
“Ma i sardi questo non lo sanno, nessuno glielo dice. E non si sentono coinvolti in un processo decisionale su infrastrutture che avranno comunque un impatto importante sul loro territorio. Occorre anche spiegare alla gente, ma anche a chi come noi non è un tecnico, qual è il percorso: ad esempio i 6,2 gigawatt previsti per la Sardegna sono un tetto massimo che non si potrà superare o è un tetto minimo oltre il quale si può fare di tutto?”
A noi risulta che i 6 GW che il decreto aree idonee prevede per la Sardegna al 2030 siano solo un passaggio intermedio, verso il 100% da rinnovabili entro il 2050…
“Anche questo i sardi non lo sanno. La gente non è preoccupata perché non vuole le rinnovabili in assoluto, ma perché non è chiaro dove verranno messe, con quale iter e con quale coinvolgimento delle comunità locali”.
É solo colpa nostra, dei media?
“Beh no, c’è anche una grande distanza tra la politica e la comunità scientifica. L’attuale parte politica al governo in Regione in questo momento sta cercando il consenso e sta abdicando al suo ruolo di mediazione: invece dovrebbe rendere noti ai sardi i numeri ufficiali e spiegare bene le modalità per raggiungerli. E comunque, il substrato dal quale nasce la diffidenza è atavico: risale alla questione meridionale e alla questione sarda. La gente si chiede: perché non c’è la stessa attenzione per la nostra sanità, per le nostre strade o per le nostre ferrovie?”
Tuttavia le rinnovabili potrebbero essere un volano di sviluppo economico, con lavori altamente qualificati per le ragazze e i ragazzi della Sardegna. O no?“E’ così, ma la gente non lo sa! Questi impianti di rinnovabili vengono percepiti alla stregua della industria chimica che venne impiantata in Sardegna in passato per poi fallire, lasciando aree industriali dismesse i cui costi di bonifica saranno ingentissimi e a carico della collettività. E invece abbiamo un disperato bisogno di fermare lo spopolamento della nostra isola da parte dei giovani. Ancora una volta c’è un problema di informazione. Ed è per questo che vi ho scritto”.
Nella lettera aperta lei, da botanico, mette anche in guardia dai danni che campi eolici e fotovoltaici potrebbero arrecare a flora e fauna. Ma la biodiversità non rischia molto di più se si continua a bruciare carbone (con il quale si produce il 73% dell’elettricità in Sardegna) surriscaldando il clima?
“Sono due scale diverse, che non sono una alternativa all’altra ma complementari. Noi dobbiamo fare tutto il possibile per salvaguardare la biodiversità a livello globale. Ma anche i singoli impianti hanno un impatto su piccole zone di territorio: se le metto sulla cima di una montagna quello è un habitat particolarmente delicato. Sono due aspetti di salvaguardia della biodiversità che dobbiamo provare a conciliare. Abbiamo tante aree abbandonate dall’industria, cave, aree periurbane che potrebbero essere dedicate alle rinnovabili riducendo gli impatti sulla biodiversità locale. Comunque è chiaro che non possiamo continuare a produrre energia bruciando carbone”.