Il governo tanzaniano sta sequestrando il bestiame degli allevatori che risiedono nell’area protetta di Ngorongoro, come tentativo estremo per spianare la strada a un turismo non necessariamente di conservazione dell’ambiente, ma finalizzato (anche) al safari di caccia, che in Tanzania come in altri Paesi africani non è proibito.
Lo denuncia un report dell’Oakland Instiute, un centro studi statunitense, specializzato in problematiche di tipo ambientale. L’organizzazione americana ha scoperto infatti che il governo di Dodoma ha confiscato con la forza quasi 6mila bovini e oltre 750 tra pecore e capre ai Masai nei soli novembre e dicembre scorsi. Ai pastori viene richiesto di pagare pesanti “multe”: chi non è in grado di pagarle vede i propri greggi e mandrie messi all’asta ed è costretto a traslocare altrove.
“Il bestiame ha un ruolo centrare nella cultura e nello stesso sostentamento dei Masai – racconta all’agenzia americana Associated Press Anuradha Mittal, direttrice escecutiva dell’Oakland Institute – Perderlo è per loro catastrofico. Questa nuova tattica del governo ha come unico scopo quello di allontanarli dalle loro terre ancestrali”.
Il governo rimane irremovibile sul fatto che le “ricollocazioni” potranno spianare la strada al turismo e alla conservazione dell’ambiente e della fauna selvatica, ma anche alla caccia, in particolare di leoni, elefanti ed altre specie amate dai fan dei trofei da esibire, purtroppo ancora assai numerosi. Ha sempre però sostenuto la tesi della volontarietà dei trasferimenti umani aggiungendo che questi vengono e verranno perpetrati in modo confacente allo stile di vita di questi pastori seminomadi.
Mittal è convinta che le affermazioni secondo cui i traslochi più o meno forzati possano migliorare l’esistenza dei pastori Masai siano una palese menzogna. E aggiunge che “il governo sta continuando a dare agli introiti da turismo la prorità su qualunque altra cosa, vite comprese”
In precedenza, il governo tanzaniano era stato accusato di aver cercato di allontanare i Masai dalla loro area usando metodi quali il diniego dei servizi sanitari essenziali, di aver negato loro l’accesso ai pascoli, ai punti di approvvigionamento di acqua e sale.
Salangat Marko, un allevatore del villaggio di Ololosokwan, nella comunità di Loliondo, si racconta molto preocupato. “Siamo nel pieno di un suicidio economico – dice ad AP -. Una comunità che dipende dal bestiame lasciata senza pascoli. Ho mucche che non hanno erba e acqua, vedo pastori intimiditi e sconfitti. Dove andremo e dove potremo dare cibo ai nostri figli?”.
Loliondo è la piccola frazione della Ngorongoro Conservation Area – un sito Unesco World Heritage – occupata dai villaggi masai. Già nel giugno scorso il governo tanzaniano era stato accusato di usare violenza contro i Masai che protestavano contro lo sgombero, attirando pesanti critiche a livello internazionale. Ma la sentenza di una corte locale, favorevole ai traslochi forzati, ha permesso all’amministrazione centrale di tornare alla carica.
La Commissione africana per i diritti umani e dei popoli, la cui sede è in Gambia, è in questo periodo in Tanzania per indagare sullo stato dei diritti umani degli indigeni nelle aree di Loliondo e Ngorongoro. Diverse agenzie per la difesa dei diritti umani tanzaniane hanno sollecitato la commissione affinché sia imparziae e organizzi audizioni private a favore delle vittime dei trasferimenti forzati e delle organizzazioni lontane dall’opinione mainstream sponsorizzata dal governo.