Come su qualsiasi argomento, anche sulla crisi climatica ciascuno può avere le sue opinioni. Ma i fatti non sono opinabili, ed è sui fatti che vanno costruite le proprie convinzioni. Ecco allora 10 verità “scientifiche” utili per formasi una opinione sul riscaldamento globale. E un consiglio finale.

In cosa consiste il cambiamento climatico?

Si tratta di una modifica a lungo termine delle temperature del Pianeta e dei modelli meteorologici. Tali cambiamenti possono anche essere naturali, per esempio se dovuti a mutamenti nell’attività del Sole o a grandi eruzioni vulcaniche. Ma dal 1800, le attività umane sono state il principale motore del cambiamento climatico, principalmente a causa dell’uso di combustibili fossili come carbone, petrolio e gas. La combustione di combustibili fossili genera, infatti, emissioni di gas serra che agiscono come una coperta avvolta attorno alla Terra, intrappolando il calore del Sole e aumentando le temperature.

Quali sono le cause del cambiamento climatico?

I principali gas serra che causano il cambiamento climatico includono l’anidride carbonica e il metano. Questi si generano, per esempio, quando si brucia della benzina all’interno del motore di una automobile o del carbone per riscaldare un edificio. Anche il disboscamento dei terreni e l’abbattimento delle foreste possono rilasciare anidride carbonica. L’agricoltura, le attività legate al petrolio e al gas sono le principali fonti di emissioni di metano. Energia, industria, trasporti, edilizia, agricoltura e uso del territorio sono tra i principali settori che causano emissioni di gas serra.

Come si sta manifestando il cambiamento climatico

La temperatura media della superficie terrestre è ora circa 1,2°C più calda di quanto lo fosse alla fine del 1800 (prima della rivoluzione industriale e quindi del crescente utilizzo di combustibili fossi per la produzione di energia). E è anche più calda di qualsiasi altro periodo negli ultimi 100.000 anni. L’ultimo decennio (2011-2020) è stato il più caldo mai registrato, e ciascuno degli ultimi quattro decenni è stato più caldo di qualsiasi decennio precedente dal 1850. Il 2023 è stato l’anno più caldo della storia (da quando cioè si effettuano questo tipo di misurazioni). E lo scorso maggio è stato il 12esimo mese consecutivo a battere il record di caldo. Le conseguenze di tali innalzamenti di temperature dell’aria e dei mari includono, tra le altre, intense siccità, scarsità d’acqua, gravi incendi, innalzamento del livello del mare, inondazioni, scioglimento dei ghiacci polari, tempeste catastrofiche e declino della biodiversità.


Quali sono le previsioni per il futuro?

Secondo un recentissimo rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale, c’è l’86% di probabilità che uno degli anni compresi tra il 2024 e il 2028 superi il record del 2023, passando quindi alla storia come il più caldo di sempre. Inoltre, la temperatura media globale vicino alla superficie terrestre, per ciascuno degli anni compresi tra il 2024 e il 2028, supererà di un valore compreso tra 1,1 e 1,9 gradi centigradi la media del periodo 1850-1950. Il livello dei mari continuerà a salire in media di 3 millimetri all’anno. Ed è imminente la scomparsa dei ghiacciai sugli Appennini e sui Pirenei, mentre quelli alpini resisteranno ancora qualche anno.

Cosa prevedono gli accordi internazionali sul clima?

Nel 2015 è stato siglato l’Accordo di Parigi, un trattato internazionale giuridicamente vincolante sul cambiamento climatico poi entrato in vigore il 4 novembre 2016. Il suo obiettivo generale è quello di mantenere “l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali” e perseguire gli sforzi “per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali”. Questo perché il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Ipcc), sulla base di dati scientifici, ritiene che il superamento della soglia di 1,5°C potrebbe avere impatti molto più gravi sui cambiamenti climatici, tra cui siccità, ondate di caldo e precipitazioni più frequenti e gravi.

Cosa si può fare?

Per limitare il riscaldamento a 1,5°C, le emissioni globali di gas serra devono raggiungere il picco prima del 2025, al più tardi, e diminuire del 43% entro il 2030. Tre grandi categorie di azioni sono: riduzione delle emissioni, adattamento agli impatti climatici e finanziamento degli aggiustamenti necessari. Il passaggio dei sistemi energetici dai combustibili fossili alle energie rinnovabili come il solare o l’eolico ridurrà le emissioni che guidano il cambiamento climatico. Occorre infatti ridurre enormemente l’uso di carbone, petrolio e gas: oltre i due terzi delle attuali riserve accertate di combustibili fossili dovranno essere mantenute sottoterra entro il 2050 per prevenire livelli catastrofici di cambiamento climatico.


Quale nazione è il principale responsabile delle emissioni di gas serra?

Attualmente la Cina è responsabile di oltre il 30% delle emissioni, contro il quasi 14% degli Stati Uniti. Ma la Cina ha oltre un miliardo e 400 milioni di abitanti: e infatti se si considera la classifica delle emissioni procapite, al primo posto sale l’Arabia Saudita, seguita da Usa, Canada, Australia, Corea del Sud e Giappone. C’è poi una terza classifica: quella delle “emissioni storiche”. Perché ci sono Paesi che, pur emettendo pochi gas serra, lo fanno fin dalla Rivoluzione industriale, altri che hanno iniziato relativamente da poco a bruciare grandissime quantità di combustibili fossili e a consumare suolo per sostenere la loro impetuosa crescita economica. Questa classifica storica (che tiene conto le emissioni complessive nel periodo compreso tra il 1880 e l’inizio degli anni Venti di questo secolo) vede di primeggiare gli Stati Uniti, seguiti da Cina, Russia, Brasile, Indonesia, Germania, India, Regno Unito…


Cosa sta facendo la comunità internazionale per affrontare il problema?

Le Nazioni Unite organizzano ogni anno un Conferenza delle parti (Cop) dedicata al clima. Il prossimo novembre Baku, capitale dell’Azerbaigian, ospiterà la 29esima edizione (Cop29). In questi incontri si stipulano accordi per fronteggiare la crisi climatica: l’Accordo di Parigi fu, per esempio, il risultato della Cop21 tenutasi nella capitale francese. I quasi 200 Paesi partecipanti non decidono a maggioranza, ma per consenso: tutti devono essere d’accordo sul testo finale. E questo spiega la difficoltà e la lentezza dei progressi fatti in quasi trent’anni di discussioni. L’ultima conferenza, la Cop28 di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, è stata per certi versi storica: per la prima volta nel documento finale si è menzionata esplicitamente la necessita di abbandonare gradualmente i combustibili fossili, pur con l’ambigue espressione “transition away”. I Paesi partecipanti si sono inoltre impegnati a triplicare le rinnovabili installate e a duplicare l’efficienza energetica entro il 2030. Dalla Cop29 di Baku ci si aspetta invece una accelerazione sulla finanza climatica, vale a dire sui soldi che i Paesi ricchi (maggiormente responsabili della crisi climatica, per i motivi di cui sopra) dovrebbero mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo per aiutarli ad abbandonare i combustibili fossili e a contrastare gli effetti del riscaldamento globale.

Che obiettivi si è data l’Europa?

Nel 2023, la Ue ha adottato una serie di proposte della Commissione europea per rendere le politiche dell’Unione in materia di clima, energia, trasporti e tassazione idonee a ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Ciò dovrebbe consentire all’Unione europea di diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

Come soddisfare il fabbisogno di energia riducendo le emissioni?

Le fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico) sono la soluzione ideale: non emettono CO2 e non “consumano” risorse sottraendole alle generazioni future. C’è però chi sostiene che da sole non potranno garantire continuità alla fornitura di energia elettrica necessaria a un Paese industriale: quando non c’è Sole (per esempio di notte) o quando cala il vento, o nei periodi di magra dei fiumi, come si sostituirà l’energia non prodotti da pannelli, pale e dighe? Per alcuni la risposta è nella fissione nucleare, con centrali di nuova generazione capaci di ridurre notevolmente rispetto al passato il rischio di incidenti e di rifiuti radioattivi. Sul fronte opposto chi sostiene che per costruire nuove centrali nucleari occorrono decenni, mentre l’emergenza climatica è adesso e richiede soluzioni immediate. Senza contare che il combustibile fissile (l’uranio) va importato da Paesi non sempre affidabili dal punto di vista geopolitico e che ci sarebbe bisogno di un deposito per le scorie radioattive che ha sempre trovato forte contrarietà da parte dei territori interpellati. La soluzione potrebbe essere la fusione nucleare, la reazione atomica, priva di effetti collaterali radioattivi, che alimenta il Sole e le altre stelle. Ma riprodurre il Sole sulla Terra e riuscire a far fondere uno nell’altro due nuclei di idrogeno è una impresa ai limiti delle Notre attuali capacità tecnologiche, Ma ci sono esperimenti in corso e gli scienziati più ottimisti prevedono di raggiungere l’ambito traguardo entro il prossimo decennio.

Cosa possono fare i singoli cittadini?

Ciascuno può fare la sua parte. Nella vita privata, cambiando i propri stili vita e riducendo la propria impronta carbonica (cioè la quantità di emissioni di gas serra rilasciate nell’atmosfera). Questo significa, per esempio, risparmiare energia elettrica, ridurre gli sprechi alimentari, rinunciare a cibi la cui preparazione comporti l’emissione di molta CO2 (è il caso delle carni rosse), preferire il treno all’aereo, acquistare prodotti a chilometri a zero, scegliere capi di abbigliamento durevoli invece della fast fashion che accresce il problema della gestione dei rifiuti tessili. C’è poi il fronte pubblico: ci si può informare ed esercitare pressione sui decisori politici perché mettano la crisi climatica al centro delle loro agende.