Ohtori ha tracorso due decenni sui dohyo, i ring professionali del sumo giapponese, combattendo per conquistare posizioni nella graduatoria della lotta professionale che è sport nazionale del Paese asiatico. Ora ha deciso di affrontare una sfida diversa: far guadagnare posizioni alla sua disciplina nell’opinione pubblica interazionale.

Con lui, un gruppetto di 5-6 lottatori professionisti ha creato una sorta di sumo catering, veri e propri ristoranti-con spettacolo di sumo destinati ad iniziare alla disciplina antica di almeno 1.500 anni i turisti stranieri, o almeno una parte della considerevole quota di ospiti da oltreconfine che in questa stagione hanno letteralmente invaso il Giappone, merito della simultaneità tra la riapertura dei confini post-Covid, e il basso valore dello yen, che ha reso la vacanza a Kyoto o Nara conveniente come non lo è mai stata da decenni.

“Desidero che giapponesi e stranieri possano comprendere a fondo il sumo – racconta all’agenzia di stampa Reuters Ohtori, 40anni – “I miei fratelli maggiori erano più rudi – spiega, riferendosi ai trascorsi da lottatore pro, una carriera che ha iniziato appena quindicenne –. Ora c’è molto più divertimento, perché posso interagire con chiunque”.

Il suo luogo e teatro di esibizione, Yokozuna Tonkatsu Dosukoi Tanaka, ha aperto i battenti nel novembre scorso, un mese dopo che il Giappone ha varato la politica del viaggio senza visto, permettendolo, per soggiorni turistici brevi, agli ospiti di 69 Paesi e territori, Italia inclusa. Sotto il tetto dell’edificio, un ring di sumo e 14 tavoli, dove i clienti pagano poco più di 70 euro (11.000 yen) per consumare cotolette di maiale panate prima di assistere allo show e in qualche modo esserne parte.

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Un altro ex lottatore professionista, Yasuhiro Tanaka, ha aperto un ristorante nel quale offre una seconda carriera ai suoi ex colleghi, ora star di spot pubblicitari e film girati in quella location. Ora però ha in programma di aggiungere performance serali al suo pacchetto. 

In un recente pomeriggio, Ohtori, impegnato in una seduta di allenamento teatrale – ma realistica – con il suo usuale avvesario, Towanoyama, più grosso di lui e chiamato Jumbo dallo speaker per facilitare l’audience internazionale, ha invitato qualcuno del pubblico a sfidare, appunto Jumbo.

Joesé Aguillar, 46enne dirigente d’azienda di Monterey, Messico, che occupava uno dei posti più vicini al dohyo ed era molto desideroso di vedere qualcosa di “iconicamente giapponese”, in una vacanza che celebrava – tardivamente causa restrizioni Covid – il quindicesimo compleanno della figlia – è uno di quelli che hanno voluto “osare”.

Salito sul ring con il costume ad hoc, ha lì per lì avuto un – ormai inutile e tardivo – ripensamento, della serie “..ma chi me l’ha fatto fare, e per primo” poi, salvo poi riuscire ben presto a spingere fuori del ring – è così che si conquista il successo nella lotta giapponese – l’accondiscendente avversario. E inevitabilmente raccontare di essersi divertito molto.

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I ristoranti a tema sono parte di un ecosistema del rilancio del turismo nipponico che il premier Fumio Kishida spera porti un surplus di 5mila miliardi di yen, 32 miliardi di euro al pil locale. Il sumo a sua volta sta vivendo un periodo di grande rilancio in tutto il mondo grazie alla serie Netflix Santuary, ambientata nel suo mondo e visibile da maggio.

Le performance dei sumo restaurant dispensano risate a più non posso, ma le tracce degli interventi chirurgici sui corpi dei contendenti la dicono lunga sul tributo fisico pagato dai praticanti di questa disciplina, che oltretutto arruola i suoi attori sin dalla prima adolescenza, lasciandone molti senza prospettive di lavoro, quando si ritirano in generale verso i 30 anni o poco dopo

“Come ex lottatori di sumo – spiega Tanaka, ora 47enne e per sua stessa ammissione non un fuoriclasse nella lotta professionale – non abbiamo grandi prospettive. Per questo mi sforzo perché ognuno di noi abbia la possibiltà di guadagnare uno stipendio e vivere una vita felice e piacevole”.