A Brunico l’auto svolta verso nord. Il sole e il traffico della Pusteria rimangono alle spalle, le montagne a destra e a sinistra, mentre la strada scivola tra i prati. Nello specchietto retrovisore il Plan de Corones che si allontana, con le sue macchie bianche, residui di un inverno eccezionalmente nevoso. Dopo Campo Tures la Valle Aurina si stringe e sale. Si susseguono piccoli villaggi pittoreschi senza negozi e qualche hotel. La calma e la quiete invadono ogni angolo del paesaggio che cambia lentamente. Davanti, nascosto da altre montagne c’è il Klockerkarkopf, ribattezzato Vetta d’Italia, punta più a nord dello Stivale (o quasi), al confine con la regione austriaca del Salisburghese.
Dal rame al turismo (e alla speleoterapia)
La Valle Aurina è la più settentrionale d’Italia, un luogo di pace lontano dai rinomati e inflazionati itinerari turistici, praticamente incontaminato. Per secoli la sua economia ha ruotato intorno all’agricoltura ma soprattutto alle miniere di rame di Predoi. L’attività estrattiva è iniziata dal XV secolo ma già in tempi antichi gli uomini conoscevano la vena di rame che entrava nella montagna. Così sono state costruite gallerie orizzontali per intercettare la vena posta verticalmente, scendendo via via verso il fondovalle. Oggi la miniera è praticamente esaurita (se non per una piccolissima produzione) e la galleria di base è stata riconvertita a museo. Dopo aver indossato una pesante cerata e un caschetto da cantiere, si entra nelle viscere della terra a bordo di un trenino elettrico. Si viene subito colpiti dal microclima interno: elevata umidità e 8 gradi centigradi costanti. Dopo circa un chilometro si giunge alla prima grotta del museo. Da qui si possono percorrere circa 300 metri di gallerie, oppure visitare il centro climatico per la speleoterapia, utile per la cura delle malattie respiratorie, unica struttura sul territorio italiano. Per gli amanti dell’avventura, si possono percorrere in gruppo i 420 gradini che dalla galleria di base portano alla vecchia galleria San Nicolò, 100 metri più in alto. Fu scavata a mano e in alcuni tratti è piuttosto stretta tanto che si procede solo camminando piegati.
Il “simbolo” della valle? Un formaggio
La Valle Aurina è una terra di tradizioni forti, legate al territorio e ai cambiamenti economici subiti nei secoli. E il cibo qui rappresenta come non mai un territorio difficile e fortemente legato all’allevamento. Non a caso il simbolo della valle è proprio un formaggio, molto particolare. In questi luoghi da secoli si produce il famoso “formaggio grigio”, simbolo di una società contadina povera. Nasce come scarto della lavorazione del burro. Questo veniva prodotto dai contadini per poi venderlo. Il latte oramai scremato, però, non veniva gettato ma riutilizzato per produrre questo formaggio. La sua consistenza granulosa lo rende particolare. Ma la sua unicità è racchiusa nel suo sapore che assorbe tutti i profumi di questa terra, dal fieno ai fiori. “Non c’è formaggio più moderno di questo”, spiega Martin Pircher, commerciante e produttore di formaggio. “Tutti lo possono mangiare ed è molto apprezzato dagli sportivi”. Infatti, viene prodotto senza caglio, non ha lattosio ed è quasi privo di grassi. Pircher ha ideato il Festival del Formaggio che si tiene in valle ogni due anni a marzo: degustazioni e incontri con i produttori permettono di scoprire i sapori di questa terra.
Ritorno al passato
In Valle Aurina c’è chi sta riscoprendo l’allevamento delle pecore (e la relativa produzione di formaggio) e chi realizza i cosiddetti masi-arca dove vengono preservate specie animali in estinzione. Tra questi c’è il maso Hochzirm, vicino a Campo Tures. Qui vengono allevati 25 bovini di razza Highland, 20 pecore “occhialute” e quattro maiali di razza Mangalica. “Sembra strano, ma proprio con queste razze in via di estinzione noi facciamo i prodotti che gli ospiti possono assaggiare nel nostro ristorante”, spiega Georg, il giovane proprietario che con la moglie gestisce la fattoria. Georg con gli animali ha un rapporto unico: parla con le mucche, con i cavalli, con i maiali; oppure a volte basta lo sguardo. In Valle Aurina non manca nemmeno chi decide di produrre la birra esclusivamente con materie prime locali. È il caso di Gustahr, azienda locale guidata da Erich Klammer. Produce, tra le altre, una birra veramente speciale realizzata con orzo 100% altoatesino e aromatizzata con trucioli di pino cembro. Che le danno un sapore veramente particolare.
Alla scoperta dei castelli
L’Alto Adige è una terra di castelli e fortificazioni. Anche la Valle Aurina non è da meno. A Campo Tures c’è omonimo Castello medievale, posto a controllo dell’ingresso della valle. Le visite sono esclusivamente guidate per buona parte degli spazi. Gli affreschi, l’armeria e la sala delle torture lo rendono un luogo unico. Da non perdere la stanza della contessa Margarethe von Taufers, dove la leggenda vuole si sia rinchiusa per sette anni prima di suicidarsi per amore. Si dice che il suo fantasma abiti ancora nel castello.
Tra chiese e crocifissi
Ma la Valle Aurina è anche terra di chiese. Anzi, ogni villaggio che si incontra lungo la valle sembra costruito intorno a un edificio sacro che gli dà il nome. C’è, però, una chiesa poco più a nord dell’abitato di Casere che non è circondata da abitazioni ma solo da prati, boschi e montagne, da raggiunge percorrendo una suggestiva via crucis che parte proprio dall’abitato. Si tratta della Cappella di Santo Spirito, eretta in un luogo religioso pre-cristiano. Al suo interno è conservato un crocifisso con tre fori di proiettile mentre all’esterno la chiesa copre e quasi nasconde dietro di sé una grande roccia spaccata. Tra l’edificio e la roccia ci sono poche decine di centimetri di spazio. Non abbiate paura di entrarci: si tratta del cosiddetto Schliefstein, il “libera peccati”: chi passa tra le strette pareti della roccia viene liberato dalle proprie colpe.
Ospitalità essenziale
L’ospitalità in Valle Aurina è, come in gran parte dell’Alto Adige, un fiore all’occhiello. Qui gli alberghi offrono un approccio rilassato e a contatto con la natura, nel segno dell’essenzialità e della sostenibilità. Ne è esempio concreto il progetto dei due giovani ragazzi Michaela e Matthias che gestiscono il Biohotel Bühelwirt, posto alle spalle della chiesa di San Giacomo nell’omonimo villaggio. Se da una parte le camere sono essenziali, le grandi finestre che si aprono sulla valle fanno letteralmente entrare la natura nelle stanze. E ogni finestra ha una nicchia dove sdraiarsi o sedersi per godere del paesaggio nell’intimità della propria camera.
Trekking e “fly-line”
E come ogni valle che si rispetti, l’Aurina ha la sua ampia rete di sentieri per le escursioni a piedi. I più temerari ed esperti possono raggiungere da Casere la Vetta d’Italia con un percorso di 20 chilometri e un dislivello positivo di quasi 1.300 metri. Ma ci sono anche circa 800 chilometri di sentieri più facili dentro i boschi. Da non perdere, poi, le tre cascate di Riva di Tures, nel Parco Naturale delle Vedrette di Ries-Aurina percorrendo il Sentiero di San Francesco. Adulti e bambini, poi, potranno ridiscendere per un tratto utilizzando la Fly-Line, sorretti da un’imbragatura, volando letteralmente sopra rapide e torrenti.
Un “tuffo” nel bosco
Se però cercate una riconnessione con la natura, non perdetevi il “bagno di bosco”, che i giapponesi praticano da decenni e che chiamano “Shinrin-yoku”. Secondo diversi studi, questa pratica aiuta ad abbassare i livelli di stress. Ma di cosa si tratta? Si entra in un bosco lungo un sentiero e si cammina molto lentamente, senza una vera meta: si toccano alberi, piante, la terra, le pietre, il muschio, le pigne cadute. “Molti nostri ospiti dell’albergo ci chiedono: ‘Avete la palestra? Avete la Spa?’. E Io gli rispondo di sì, basta uscire dall’albergo e immergersi nei boschi”, spiega Stefan Fauster, proprietario del Drumlerhof e guida ambientale specializzata nel bagno di bosco. “Dovete spegnere il telefonino, camminare lentamente, guardarvi intorno, toccare anche con i piedi nudi. E infine abbracciate il vostro albero. Vivere il ‘qui e ora’ a contatto con la natura”.