Quasi come prima e per certi versi anche peggio di prima. Nasce l’Osservatorio sugli Stili di Mobilità di Legambiente e la prima fotografia che scatta all’Italia attraverso la lente di Ipsos non promette bene. Sono state osservate quattro grandi città, da Milano a Roma, da Torino a Napoli, e in tutte l’uso delle vetture private sta tornando ai livelli pre-pandemia, mentre si sta assistendo ad un declino del trasporto pubblico. Con buona pace di tutti quei progetti per cambiare le metropoli e il territorio sfruttando il lavoro remoto e arrivare così a città meno centralizzate e dove i servizi sono al massimo a 15 minuti di distanza dalla propria abitazione.
A Milano, Torino, Napoli e Roma, dove ancora si lavora di più da casa rispetto al resto d’Italia, ci si sposta più frequentemente, anche tre o quattro volte al giorno. Continuiamo a usare spesso l’auto, ma ci muoviamo anche a piedi. Però autobus, tram, metropolitane e treni regionali sono al 70-80% della capienza. Il mezzo pubblico ha perso quote, penalizzato dalla paura dell’affollamento che è al primo posto fra le preoccupazioni dei cittadini. Viene subito prima quella della poca puntualità e frequenza delle corse, almeno per Napoli, Torino e Roma. A Milano invece, dove i mezzi sono decisamente più affidabili, dopo il minor affollamento si chiede una copertura maggiore di aree ora ai margini.
“È vero: se guardiamo alla media generale siamo tornati ai livelli di prima, con poche differenze”, conferma Andrea Poggio, responsabile mobilità sostenibile di Legambiente. “Cambia in effetti l’uso del mezzo pubblico che è diminuito. Quel che colpisce però è la differenza fra le città e il resto del Paese. Nelle prime si adotta lo smart working, ci sono le ciclabili e i servizi di sharing, campo nel quale cala la parte auto ma è esplosa quella dei monopattini. Altrove invece manca molto di tutto ciò e a volte manca tutto. E in quei casi il ritorno all’auto privata è stato massiccio superando i livelli del 2019”.
I dati emersi dalla ricerca, raccolti dal 24 settembre al 4 ottobre attraverso mille interviste equamente divise fra le quattro metropoli, dicono che stiamo ricominciando a uscire e spostarci, seppur meno di due anni fa. Va però tenuto conto che il lasso di tempo preso in esame è precedente all’archiviazione da parte del ministro Renato Brunetta del lavoro a distanza per i dipendenti pubblici avvenuta il 15 ottobre. Non tutti i 3,2 milioni di impiegati della pubblica amministrazione possono svolgere i loro compiti a distanza, basti pensare a scuola e sanità.
Ma la quota di veicoli che si sono riversati nelle strade non è piccola. Andando per macroaree, la scuola occupa circa un milione di persone, mentre la sanità arriva a 700mila. Le funzioni centrali, dai ministeri all’Inps fino alle agenzie tributarie, hanno 280mila dipendenti e 700mila sono quelli degli enti locali. Dunque coloro che anche solo qualche giorno alla settimana potrebbero evitare di usare un mezzo nel pubblico sono circa un milione di persone alle quali si aggiunge il personale che svolge compiti di amministrazione sia nella sanità sia nella scuola.
“Milano è un’eccezione anche se si tiene conto solo delle città, luoghi dove c’è oggettivamente più scelta”, prosegue Poggi. “Laddove ci sono politiche attive che indirizzano la nuova mobilità si è arrivati a cambiamenti positivi rispetto al passato. Le persone tendono a spostarsi usando schemi conservativi. La classica intermodalità prevede ad esempio l’uso dell’auto fino alla stazione o alla fermata della metro. Ma se si ampliano le ciclabili, si riduce lo spazio per le automobili e si aumenta la disponibilità di mezzi per coprire il chilometro finale, grazie a bici e monopattini, è possibile arrivare ad un sistema diverso e ben più sostenibile. Ma tutto passa necessariamente per un trasporto pubblico più efficiente e moderno, il tassello centrale che lega tutto”.
E invece è accaduto il contrario ed è questo il motivo che ha spinto il ritorno all’auto privata in buona parte del Paese. Nel 2020 abbiamo comprato 900 bus su un parco totale di 50mila mezzi che ha un’età media di 12 anni. A questo ritmo per modernizzarlo serviranno decenni. Bisognerebbe invece investire nella mobilità del futuro altrimenti sarà impossibile avere una maggiore sostenibilità. Almeno è così che sostiene Legambiente.
Secondo i suoi calcoli dovremmo spendere almeno 500 milioni di euro ogni anno sino al 2030 per treni nuovi, circa 650 milioni metropolitane e 500 per i tram e avere 6-7mila nuovi autobus elettrici sempre all’anno, questi ultimi anche in leasing operativo, come si fa in altre città e paesi europei e del mondo. Altri 500 milioni andrebbero poi destinati alle città metropolitane e ai raggruppamenti di comuni per l’attuazione dei Piani Urbani Mobilità Sostenibile anche per la ciclo-pedonalità. Viene poi avanza la proposta di estendere le agevolazioni fiscali per aziende e dipendenti pubblici, oggi applicati per gli abbonamenti al trasporto pubblico ferroviario e locale, a tutte le forme di mobilità sostenibile come la sharing mobility e mezzi elettrici aziendali condivisi.
“Sempre per la sharing mobility bisognerebbe imporre un’aliquota Iva pari a quella del trasporto pubblico, ovvero 10% e non 22%”, conclude Andrea Poggio. “Mentre dovremmo farla finita con i bonus per l’acquisto di qualsiasi veicolo a motore a combustione, per i quali sono stati stanziati quasi due miliardi dal 2019 per ottenere trascurabili miglioramento ambientali ed economici: abbiamo speso pro capite più della Germania, 31 euro invece di 27, per avere su strada un sesto delle auto elettriche a batteria: 180mila contro un milione. Dobbiamo cambiare passo, altrimenti scordiamoci l’idea di avere città più a misura d’uomo”.
Certo, guardando alcuni dati viene da domandarsi come si possa migliorare senza avere dei nuovi modelli di business, soprattutto considerando la diffidenza nei confronti del trasporto pubblico. Le persone lo vorrebbero meno affollato e più capillare, dunque ancora meno in grado di produrre profitti. Ma Milano, di nuovo, dimostra che è una strada percorribile. Del resto, che una transizione del genere sia complessa era facile prevederlo fin dal principio. E se non si inizia da qualche parte sarà impossibile cambiare davvero.