Bisognerebbe iniziare a scoprire Trani, dopo la “controra”, nel tardo pomeriggio. Perché è al tramonto che “la perla della Puglia” rende al meglio la sua accecante bellezza, quando la luce argentata si distende come un velo sulle banchine del porticciolo, sulle barche e i pescherecci colorati. Quando – dopo il vuoto di alcune ore, nelle quali non si vede anima viva in giro, come se fosse un centro fantasma – inizia a popolarsi di giovani che tirano tardi nei numerosi locali per la movida, tra un vino rosato e un drink, musica e tante chiacchiere, e donne che passeggiano mostrando un’eleganza quasi regale e accessori fashion. Quando tutti sembrano riprendersi quei ritmi lenti, propri da “città Slow” come ricordano alcuni cartelli in bella vista lungo il porto. Quando la Cattedrale romanica accende con le sue lampade il buio della notte.
Poi dopo questo primo assaggio, tornare sugli stessi passi all’indomani, magari di mattina presto, prima che il sole picchi forte sulla pietra bianca, la cui luminosità si riflette sui visi, circondati dal silenzio che amplifica i suoni: il garrito dei gabbiani, le saracinesche dei negozi che si aprono, le sirene delle imbarcazioni. E iniziare proprio dalla Cattedrale, dedicata a san Nicola Pellegrino, che si staglia in posizione isolata contro l’azzurro del mare e del cielo, come sospesa tra le acque, e che tutti notano, sin dai tempi del Medioevo, da qualsiasi parte si guardi, grazie al tufo calcareo chiarissimo con la quale è stata realizzata. Una cartolina perfetta, lo slargo più fotografato del centro storico, che già Cesare Brandi, nel suo inno a Trani, aveva così sintetizzato: «Là dove l’Adriatico già promette lo Jonio e perde il verde acidulo sotto le squame d’un azzurro tiepido e denso, questa città che nessuno celebra, Trani, eleva un duomo alto come un’acropoli e una torre che ne misura la distanza dal cielo». Austera, imponente, accoglie fiera con il suono delle campane, come fa da secoli con tutti i naviganti. Unica, in effetti, è la torre campanaria, alta ben 58 metri, che a differenza delle solite torri quadrangolari, poggia su un arco passante che ne alleggerisce la struttra: si può attraversare e sotto sentirsi piccoli, come se anni e anni di storia cadessero di un tratto sopra le nostre teste. Colpiscono le aperture in crescendo, dalla bifora alla pentafora, dalle quali potersi affacciare, se si decide di salire i 258 scalini che portano sino alla cima e permettono di abbracciare in un solo colpo d’occhio tutta la magnificenza di questa cittadina.
La facciata della Chiesa si fa ammirare per il suo grande rosone e per la porta bronzea che racchiude l’influenza del Mediterraneo fra bizantini e arabi, mentre il suo interno svela che si tratta di costruzione “una sopra a un’altra”, stile matrioska. Vicino all’altare maggiore sono visibili frammenti dell’antico pavimento a mosaico con grandi raffigurazioni naïf di Adamo ed Eva e di Alessandro Magno. Una volta fuori, vale la pena restare qualche minuto a respirare l’odore del mare e a lasciarvi accarezzare da un leggero venticello. Poi a due passi si aprono le porte del “Museo delle macchina per scrivere”, all’interno dell’antico Palazzo Lodispoto, appartenuto a una famiglia nobile locale e donato alla Diocesi (fa parte del Polo Museale, insieme al museo Diocesano e alla Sinagoga, trasformata in Museo-Sant’Anna, ed è gestito dalla Fondazione S.E.C.A. per la Cultura). Nelle sue sale sono racchiusi centocinquant’anni della scrittura meccanica dalla sua nascita fino al suo inevitabile declino avvenuto nell’era digitale. Si gira tra oltre 470 pezzi di tutti i paesi del mondo e tutti perfettamente funzionanti, dalla Olivetti Lettera 22 di Indro Montanelli, all’Underwood Standard di Bukowski cara anche a Virginia Wolf; dalla Hermes Baby del 1935 utilizzata da Ernest Hemingway ma anche da altri romanzieri, giornalisti e celebrità dell’epoca, alla Remington portable con cui amava scrivere Agatha Christie e alla Smith Premier n. 4 usata da Hermann Hesse. Non manca la Hammond Multiplex preferita da John Fitzgerald Kennedy. Tra i modelli più curiosi, La Virotyp, detta la “piccola parigina” del 1914 e progettata in Francia dall’ingegnere Viry perché potesse essere utilizzata nelle trincee di guerra o anche a cavallo. Anche se non permetteva la scrittura di un normale foglio di carta, ebbe comunque un buon successo. E ancora la macchina per scrivere tascabile, inventata in Usa da Charles Bennet nel 1910, misurava 25 x 10 x 3 centimetri, una vera antenata del palmare. Alle pareti immagini in bianco e nero da Luigi Pirandello che scriveva con un dito solo, a Isaac Bashevis Singer, Dorothy Parker Jacqueline Kennedy e molti altri intenti a lavorare. Fino al 19 settembre, si può ammirare anche la mostra Un Luca Giordano e tanti Francesco Paolantoni: più di venti opere dell’artista Francesco Paolantoni, noto soprattutto come attore. Si tratta di cubetti di diverso materiale (argilla e pelle, pezzetti di pane) a raccontare persone, personaggi e luoghi cari all’artista.
Ancora pochi passi e Trani svela un altro suo tesoro, il Castello, in piazza Re Manfredi, edificato per volontà di Federico II di Svevia iniziato nel 1233 e probabilmente completato nel 1249, famoso perché qui spesso soggiornava e si è sposato Manfredi di Sicilia, il figlio prediletto dall’imperatore, anche se illegittimo. L’interno non è visitabile, ma si cammina sulle mura che lo cingono, in bilico “nel blu” tra cielo e terra. Tra una foto ricordo e uno sguardo all’orizzonte infinito, vi racconteranno della leggenda del fantasma Armida, la bella moglie del castellano. Si dice che avesse una relazione con un altro uomo, tanto che il marito li scopre, uccide lui e imprigiona a vita lei. Qualcuno assicura di aver sentito rumori provenienti dalle stanze, segno di strane presenze. Al di là della fantasia, la realtà parla di una donna che davvero tra queste mura ha scontato una lunga prigionia, fatta di pane e acqua: Siffridina, contessa di Caserta.
Addentratevi poi tra i vicoli, una sorta di casbah bianca, con le signore sedute “al fresco”, i bambini che giocano, i fiori in cassette di legno, per assaporare a piccoli passi una quotidianità che solo in Puglia profuma di buono e sa farsi ricordo. I palazzi che si susseguono sono grandi edifici storici, come palazzo Broquier del 1700, dove aleggia lo spirito di una “dama bianca” appare intenta a leggere un libro posato su un leggio. Ancora palazzo delle Arti Beltrani che è il Centro Culturale Polifunzionale della Città, diretto da Niki Battaglia, un vero e proprio amante della cultura, e sede della Pinacoteca Ivo Scaringi. È in corso l’esposizione (fino al 5 settembre) “Facefood, Viaggio nell’eccellenza della gastronomia pugliese”, quarantanove fotografie, di personaggi che tengono alto il vessillo dell’enogastronomia pugliese, fotografati da Franz Gustincich e Claudio Auriemma, e raccontati da Vittorio Cavaliere.
E come tralasciare Palazzo Nugnes che si affaccia di corso Vittorio Emanuele, sede di Nugnes 1920 (l’anno è quello che segna la nascita di una lunga tradizione sartoriale e familiare), store di abbigliamento e icona della moda e del lusso, con i brand internazionali che prendono posto tra marmi, arredi vintage e ultramoderni. Una location unica, da far invidia anche ai più blasonati nomi della moda nelle più importanti capitali europee. Entrate a darci un occhio: i capi sono esposti come se fossero in teche di una galleria d’arte e i soffitti sono interamente affrescati.
Poi tornando verso il porto, lì dove tutto ha avuto inizio – durante il Medioevo fu un importante punto d’imbarco e sbarco per i mercanti che viaggiavano nel Vicino Oriente – ecco spiccare Palazzo Caccetta, un fabbricato tardo gotico rinascimentale, legato al ricco mercante Simone Caccetta, ma anche la Chiesa Ognissanti, un altro esempio d’architettura romanica pugliese, che ha mantenuto antistante il porticato romanico, uno dei pochissimi rimasto intatto in regione, che la univa all’antico ospedale dei Cavalieri del Tempio. Pare fosse stato scelta dai templari (presenti in città dal 1143) fino al 1312, anno in cui papa Clemente soppresse l’ordine. Le formelle centrali raffigurano L’Annunciazione e la cosa particolare è che nell’angolo in basso a sinistra c’è un uomo che, dalla posizione, sembrerebbe un Maestro templare che sta consegnando alla Madonna la Regola dell’Ordine. Di fianco si può fare una sosta al rooftop Ognissanti, per ammirare dall’alto tutto quello appena visto. Ci si ferma un attimo perché tutto sembra così vicino da poterlo toccare e ci si rilassa con un aperitivo, un assaggio di frutti di mare, un calice di bollicine. Ad arricchire la location ci sono le opere e i murales dell’artista Dario Agrimi. Vi è anche una Spa, al primo piano del palazzo Trombetta, dove provare diverse esperienze di benessere: la stanza del sale, le docce con cromoterapia, il bagno turco, la sauna e la piscina idromassaggio, dalle cui vetrate godere del lento scorrere del porto. Un altro luogo gettonato è Il Vecchio e il Mare, vicino al Faro e a picco sull’Adriatico, per una cena romantica.
Infine, godetevi le spiagge, come quella de Le Matinelle, nel tratto costiero verso Bisceglie, un’insenatura sabbiosa protetta dalle barriere frangiflutti e atmosfera mediterranea. Il lido omonimo offre servizi fitness e la possibilità di praticare attività sportive, mentre di sera si trasforma in lounge bar sotto le stelle. Quelle stelle che aggiungono altra bellezza alla “perla della Puglia”.