VAL BADIA – Quasi tre giorni sulle Dolomiti alla guida di una Porsche 911 “992” GTS cabrio. È l’esperienza vissuta su una delle auto che quest’anno, per la prima volta in Italia, il marchio tedesco propone, con la formula del noleggio breve (anche) a chi non ha la fortuna di essere suo cliente. Tariffe e condizioni non sono esattamente low cost, ma tali comunque da indurre al volante di una sportiva di Zuffenhausen automobilisti che fino a poco tempo fa non ci avrebbero neanche sperato. 

Porsche Drive è il nome della società e del progetto. Opera, per ora, in sei centri monomarca del Paese: Bari, Bologna, BresciaFirenze, Milano Nord e Padova. Proprio nella città veneta, sede di Porsche Italia, comincia l’esperienza, nata, per caso, dalla telefonata all’ufficio stampa di un potenziale cliente: un utente-giornalista, che, dopo aver contattato una delle concessionarie, cercava di carpire qualche dettaglio extra sul servizio. Utilizzo free a parte, quanto segue può accadere a chiunque noleggi con la casa tedesca via web. Il tutto inizia un mercoledì alle 10 e termina un venerdì alle 18. La responsabile stampa mi accoglie e mi introduce al referente Porsche Drive locale. Compilo moduli simili a quelli stilati nelle agenzie Hertz o Avis. Un altro addetto mi accompagna poi alla “mia” 911, in bella mostra nel salone.

Sprofondo fino al posto guida. Lui, al mio fianco, mi illustra i comandi: dal navigatore alle regolazioni del sedile, dal cambio alla capote. Mi concentro sui due dispositivi a mio parere fondamentali per prevenire quei banali errori a bassa velocità, che reputo l’infortunio meno improbabile per il neofita di un’auto dalle forme sinuose e irregolari, così bassa da terra, come seduta e punto di vista sull’esterno: il pulsante che, a velocità ridotta, solleva l’asse anteriore di 40mm, minimizzando i rischi di toccare marciapiedi, rampe e dossi di certe zone 30; le telecamere (surround view), che operano in sinergia con i sensori di parcheggio e proiettano immagini video quasi iperrealistiche, dell’anteriore, del posteriore e del livello strada.

Padova, al Centro Porsche come a scuola guida

Nonostante il sedile abbassato al massimo, la visibilità è buona già in manovra. Ma forse è solo merito della capote giù. Accendo il motore, ruotando la leva alla sinistra del volante – atout della casa dai primi trionfi a Le Mans – e, con l’addetto a fianco, muovo la GTS. Scendo sul livello strada da una minirampa.

I primi raggi di luce (6 a.m.) sul Passo Gardena (foto Arturo Cocchi)

I primi raggi di luce (6 a.m.) sul Passo Gardena (foto Arturo Cocchi)

 

L’esperto mi indica uno spiazzo semivuoto che ricorda le aree per i test a bassa velocità degli esami di guida. I pedali sono facili da dosare. Stessa cosa per il cambio, in automatico, mai brusco. Lo sterzo è più che diretto ma, almeno in quel parco chiuso e a velocità ridotta, è un vantaggio. La visibilità – senza tetto – è ok. Esclusi la “chiave” a sinistra e il manettino, sul volante, a destra, dal quale si selezionano le modalità di guida (normale, bagnato, sport o sport plus), i comandi rispondono a criteri ergonomici che da utente di auto tedesca ritrovo. Stesso discorso, a parte l’extra di funzioni e scenografia, per infotainment e navigazione: il comando vocale si rivela subito particolarmente reattivo. Al netto dell’”effetto suolo”, il sedile in pelle è sublime. Si regola su 18 vie: tra l’altro, il sottogamba scorre in lunghezza e si può creare o meno un “guscio” tra quadricipiti e seduta.

Trasloco dalla mia monovolume i colli da portare in Val Badia – ero riuscito a fare un test su un’altra 992. Il bagagliaio anteriore non è poi così male per una sportiva e ha forma regolare: ci stanno, a filo, un trolley da carry-on aeroportuale medio-grande e due zaini fotografici di pari taglia. Sistemo altri accessori da vacanza outdoor, borse morbide e buste, tra il piano che si ricava, come su una multispazio, abbattendo i sedili posteriori, e il posto del passeggero. 

Comandi docili: in autostrada è persino facile

L'interno coordinato con i colori dell'esterno (foto Arturo Cocchi)

L’interno coordinato con i colori dell’esterno (foto Arturo Cocchi)

 

Sono solo. La prima retromarcia lascia intuire che potrò spesso eseguire posteggi e manovre a bassa velocità negli spazi chiusi senza torcere il collo: basterà un colpo d’occhio sulla vista che le telecamere proiettano sul display centrale. I primi metri nel corso Stati Uniti scorrono all’insegna della prudenza. Sono le 11 ma c’è ancora traffico. Alla fine, vuoi per l’aiuto del navigatore, che si aggiorna real time via Google, vuoi perché la visibilità rimane sincera, anche con la capote su, vuoi per la dolcezza dei comandi, l’uscita dall’hinterland fila via in souplesse. Arrivo sulla A13, poi entro in A4. Avevo associato la targa della Carrera al mio Telepass per prevenire il problema tipico dell’accosto ai caselli da auto così basse: il braccio non arriva mai al biglietto e si rischia di avvicinarsi (troppo) alla banchina con i cerchi.Scivolo tra l’A4 e l’A-27, che arriva ai piedi delle Dolomiti, non lontano da La Villa, il mio traguardo. Voglio però abbandonare presto l’autostrada, per portare la GTS sul passo San Boldo, scenografica ex strada militare che separa il Trevigiano dal Bellunese. Faccio due pit stop in sequenza: uno è per disinnestare il lane assist dal menù, che ancora non maneggio al volo. La 992 ha appena 750 km e profuma di nuovo. Riparto. Percorro i primi chilometri in modalità normale e con il cambio a doppia frizione PDK che seleziona le 8 marce automaticamente. I pedali si confermano soft. Lo sterzo non ha il minimo gioco, è iper-diretto e reattivo, ma è sotto controllo: basta tenerlo con due mani. Se non le si chiede diversamente, la GTS accelera, frena e gira con garbo. Per la cronaca, questa ha l’asse posteriore sterzante: in marcia, ruota in parallelo all’anteriore, a vantaggio di tenuta e stabilità; in manovra, vira in senso opposto, riducendo il raggio di sterzata. Sin troppo ovvio che la spinta, appena si schiaccia, è impressionante.

Il Passo San Boldo, visto da poco sotto la cima (foto Arturo Cocchi)

Il Passo San Boldo, visto da poco sotto la cima (foto Arturo Cocchi)

 

Esco dall’A27 a Vittorio Veneto. Il timore reverenziale sta scemando. Ho viaggiato quanto basta per capire quanto la 911 sia facile, persino rilassante, in autostrada, ad andature “legali”. Con la capote su, il rumore – pardon, rombo – non disturba. La sensazione è quella di viaggiare sotto un tetto di metallo.

Primo misto: il San Boldo e i suoi 18 tornanti

Imbocco la strada per le colline del Prosecco, tra Follina, Miane e Valdobbiadene. Svolto a destra poco prima di Cison. Il San Boldo è strada da ciclisti e da appassionati di motori: per arrivare in vetta, a 700 metri, salendo di 450 metri per neanche 6 km, si devono affrontare 18 tornanti, gli ultimi 6 dentro tunnel strettissimi. Fascino da terra di confine: lo stacco tra la pianura e le prime rampe è brutale e quel dedalo di curve e gallerie, forgiato a tempo di record durante la Grande Guerra, fa il resto. Ideale per un primo assaggio della 911 sul misto stretto, ma salgo a passo turistico. C’è modo di familiarizzare con il volante, che gestisce praticamente tutto: non ultimi, i paddle, che comincio a usare. In discesa mi fermo per un gelato a Trichiana. Nella piazza centrale, il giallo racing scintilla in un parcheggio vuoto: un teenager si ferma e scarica lo smartphone.

La salita da Alleghe al Falzarego (foto Arturo Cocchi)

La salita da Alleghe al Falzarego (foto Arturo Cocchi)

 

Mi rimetto in strada verso Agordo e Alleghe, i passi Falzarego e Valparola. La strada per Belluno (che sfioro) è piacevole, il tratto per Alleghe magnifico e pressoché deserto. Un misto medio-veloce, terreno ideale per la 911. Il comportamento della Porsche nelle curve e nei curvoni è inimmaginabile per chi usa auto da famiglia. Si entra, e, soprattutto, si esce, a velocità che costringono ad alzare il piede ancor prima che cominci il rettilineo: il potente freno motore del 6 cilindri 3 litri aiuta a tenersi nei limiti. La Carrera, non solo resta incollata al suolo, piatta e senza scomporsi, ma, merito anche dello sterzo che la dirige al micron, consente con facilità irrisoria di disegnare le curve sempre ben dentro la corsia di destra: nessun bisogno di “tagliare”, nessun contromano. Poco prima di Alleghe, qualche goccia. Cambio la configurazione in wet ma ho subito la sensazione che non occorra: scoprirò che la 911 mi avrebbe “consigliato” di farlo, se necessario. La pioggia cessa. Con gioia, continuo sull’asciutto.

Sul Valparola è controluce show

Tra le grandi ascese dolomitiche, quella da Alleghe al Falzarego è una delle meno aspre. Terreno ideale per acquisire ulteriore dimestichezza con il mezzo. Tra il Falzarego e il vicino Valparola, uno stop davanti al Museo della Guerra. L’area è nel pieno di una battaglia sui generis, quella tra densi nuvoloni grigi desiderosi di erodere spazio alla volta celeste, che difende bene le sue macchie azzurre. Qua e là, improvvisi raggi solari da solstizio, ancor più violenti a oltre 2.100 metri. La 911 è sola nel parcheggio, unica macchia di colore su un controluce da manuale di fotografia. La sosta è breve – il museo è già chiuso – prima della discesa verso La Villa, dove ho prenotato due notti. Arrivo alle 18.30.  Quasi un itinerario slow.

Museo della Guerra, Passo Valparola (foto Arturo Cocchi)

Museo della Guerra, Passo Valparola (foto Arturo Cocchi)

 

La scelta del campo base non è casuale. La Val Badia è nel cuore delle Dolomiti, crocevia tra le sue valli e i suoi grandi valichi. I passi Falzarego e Valparola, Sella, Pordoi, Gardena, persino il Passo delle Erbe, e, alle estremità, le valli di Fassa, Gardena: tutto è a portata di ruote. Poco più in là, Cortina e la Marmolada, Non molto oltre, il versante nord della regione: Plan de Corones. Dobbiaco e Braies. Parlando di guida, non c’è (quasi) modo di uscire di lì senza dover affrontare una salita monstre. Il progetto per i giorni seguenti è chiaro. Fuori dall’albergo all’alba per un primo tour automobilistico-fotografico, con il minor contorno possibile di persone e veicoli; colazione in hotel alle 8-9; seconda uscita per un on-the-road lungo ad andatura turistica.

Sui passi all’alba, con la supercar, in solitudine

La mattina dopo esco alle 5.30. Un temporale notturno non ha lasciato conseguenze: strade asciutte. L’idea è di andare a scoprire il Passo delle Erbe e, se c’è tempo, scendere fino a Funes per vedere la chiesetta barocca di San Giovanni in Ranui, delizioso spot nonché mini-celeb nella galassia Instagram. La salita è inizialmente bella, ma sul tratto finale l’asfalto si ricopre via via di brecciolino. Arrivo in vetta abbastanza “tardi”: inverto la marcia e torno in albergo.

San Michele, Castelrotto (Siusi, foto Arturo Cocchi)

San Michele, Castelrotto (Siusi, foto Arturo Cocchi)

 

Dopo la colazione, l’idea è di puntare valichi-icona dell’area, per poi raggiungere Funes dal fondovalle; da lì, quindi, virare per il Lago di Braies. Riparto e dirigo verso la Val Gardena, ma scelgo il percorso più lungo, attraverso i passi di Campolongo, Pordoi e Sella. La GTS diventa sempre più familiare. Il cambio passa in manuale, la modalità guida in sport, salvo poi ripristinare il setup più tranquillo e le marce automatiche nei centri abitati o se mi trovo in fila. La fluidità del sei cilindri boxer è il cardine della doppia personalità di questa “sportiva in doppiopetto”: con il motore che al minimo pulsa a 600 (!) giri/min, è delizioso passeggiare con le marce alte a 900-1000 giri. In paese, si va in 6a a 50 scarsi con un filo di gas; benché “autostradali”, la settima e l’ottava sono più che sfruttabili su strade extraurbane piane, o a scarsa pendenza, già a 60-80 km/h. Di nuovo tra curve e tornanti, verifico come l’automatico, anche sul misto, scelga sempre il rapporto giusto a seconda del percorso, dello stile e della modalità di guida selezionata. Ma è un attimo: troppo divertente cambiare con i paddle, esaltante quando ci si avventa su un tornante dal dritto e si scalano le marce, in sequenza fulminea, nelle modalità sport; il rombo del motore e il borbottio cupo degli scarichi fanno il resto. Per assaporare il tutto al meglio, giova abbassare la capote, che si apre e chiude in movimento, fino ai 50 km/h. Non fa freddo ma non sarebbe un problema. La 911, se si tira giù solo il tetto, tenendo su finestrini, deflettori posteriori e frangivento, lascia filtrare solo un accenno di brezza. Si può viaggiare così già all’alba, anche sul filo dei 2mila metri, senza essere nati alle Svalbard, salvo poi far scendere via via i vetri quando la temperatura sale e le ombre si accorciano.  

A Funes la chiesetta regina di Instagram

San Giovanni in Ranui, Funes (foto Arturo Cocchi)

San Giovanni in Ranui, Funes (foto Arturo Cocchi)

 

Bypasso Selva, Santa Cristina e Ortisei, da cui imbocco la strada per Castelrotto e l’Alpe di Siusi. Scenografica via costellata dalle caratteristiche statue di legno, culmina nel Passo Pinei per poi declinare verso Castelrotto. Non salgo sull’Alpe in funivia. Una caffè davanti alla chiesetta di San Michele, poi di nuovo a Ortisei, con l’idea di lasciare la Val Gardena per la valle di Funes, che è la sua parallela a Nord, sulla sponda est dell’Adige. Non scendo a fondovalle, ma rimango sulla strada che, via Ortisei-Laion, scorre a mezza costa, con scorci sulla valle atesina e su Chiusa.

Finalmente sull’Adige, percorro un breve tratto dell’affollata statale 12, prima di deviare per la Val di Funes dal versante ovest del Passo delle Erbe, più levigato e divertente di quello della Val Badia. A Santa Maddalena, la frazione di Funes che ospita sia la chiesetta barocca, che quella cinquecentesca da cui prende il nome, riesco a scorgerle entrambe con una breve passeggiata. Vedo San Giovanni di Ranui dal belvedere social, contemplo lo scorcio sulle Odle. Sembra l’elaborazione ideale delle Dolomiti altoatesine, creata da una qualche intelligenza artificiale: perfetta, forse troppo, ma appagante.

Braies, Cortina e il serbatoio neverfull 

Lago di Braies (foto Arturo Cocchi)

Lago di Braies (foto Arturo Cocchi)

 

Torno a valle, destinazione Braies. Evito l’autostrada e imbocco la Val Pusteria. Skyline piacevole, strada trafficata: il passo è da crociera. Faccio benzina. Il serbatoio (anteriore) è da 90 litri. Opto per il carburante da 100 ottani ed esaurisco i 100 euro ammessi dalla singola transazione della mia card prima che la pompa si blocchi. Il menù dice che viaggio sugli 8-9 km/l: non male, comunque, per un 3 litri sei cilindri da 480 cavalli, usato in montagna senza lesinare con le marce basse.

Non lontano da Dobbiaco, la strada per Braies. Curata e poco impegnativa, a metà giugno è ancora a ingresso libero. Ora, fino al 10 settembre, l’accesso è limitato: tra le 9.30 e le 16, entra solo chi ha prenotato il parcheggio online; per gli altri, c’è il bus navetta. Non c’è ressa, il paesaggio è bello anche prima del lago, che si vede solo dopo l’arrivo. Presa d’assalto da quando ha ospitato la serie tv A un passo dal cielo, Braies rimane uno dei must di qualunque tour dolomitico. Chi va adesso scelga l’alba.

In cima al Passo Sella ale 7.30 (foto Arturo Cocchi)

In cima al Passo Sella ale 7.30 (foto Arturo Cocchi)

 

Al ritorno ho due alternative: ripetere in parte la via dell’andata, imboccare la Val Badia dal fondo e risalirla; o prendere, da Dobbiaco, la Ss. 51 di Alemagna per Cortina, sfiorando le Cime di Lavaredo, per raggiungere infine l’hotel dall’unico versante ancora inedito del Falzarego. Opto per quest’ultima, memore della terrazza che l’inizio dell’ascesa al passo offre sulla capitale delle Dolomiti. Piacevoli anche i chilometri iniziali della “51”, fino al Lago di Ledro: c’è un po’ di traffico, ma qua e là si riesce a giocare con volante e paddle. Sfioro Cortina e poco oltre, appena svoltato per il valico, contemplo a passo lento la visuale sulla sua conca, dominata da Cristallo, Sorapiss e Antelao. Trovo un po’ di veicoli lenti sulla salita e una carovana di supercar in vetta. La discesa dal Valparola scorre senza intoppi. Arrivo in hotel oltre le 19.

L’ultima alba tra tornanti e set fotografici

La mattina finale è da “ultimo desiderio”. Sveglia prima delle 5, uscita alle 5.15. Alle 5,45-6 immortalo suggestivi giochi di luce sul Passo Gardena, poi imbocco il Sella. Qualche scatto prima arrivare in cima, dove so di trovare un paio di sfondi perfetti per la 911. Data l’ora (neanche le 7) piazzo la GTS davanti alla casetta-bar del Passo Sella (ancora deserta). Sul tornante n. 1 – dalla vetta, versante Fassa –  la immortalo davanti al Sassolungo e alla Marmolada. La capote è giù: la temperatura è di 5-7 gradi, ma c’è già il sole. Un gruppo di porschisti tedeschi mi passa a fianco: mi fanno il cenno con il pollice su. Li seguo con lo sguardo: si fermano sul tornante a valle e mi emulano.

La discesa dal Pordoi alla Val Badia (foto Arturo Cocchi)

La discesa dal Pordoi alla Val Badia (foto Arturo Cocchi)

 

La Carrera non fa più soggezione, semmai infonde fiducia. A quell’ora, senza nessuno o quasi, con il cambio in manuale, il manettino in sport plus (il controllo di stabilità rimane), curve e tornanti sono piacere puro. Il segreto è saper dire “basta”. Guidata con il giusto mix tra passione per guida e semplice piacere edonistico-contemplativo, tra una sequenza di curve briose e un tratto dove è appagante alzare il piede e assaporare il paesaggio, un’auto come la 911 diventa il mezzo più sicuro con il quale si possa andare per strada. Ma c’è dell’altro. Per sua natura piatta e composta anche sui tracciati più difficili, grazie alle doti telaistiche, al baricentro basso e alla distribuzione dei pesi, un’auto sportiva, se condotta senza strafare, ti porta alla fine di giornate on-the-road lunghe e impegnative più fresco e riposato. Fisicamente e mentalmente.

Indimenticabile “chiave Le Mans”

Abbandono il set. Prima di colazione c’è ancora il Pordoi. Arrivo in hotel oltre le nove. Mi rifocillo, saluto e comincio ad avvicinarmi a Padova: l’ultimo transito su Valparola e Falzarego, poi la discesa fin quasi a Cortina. Stavolta svolto prima del fondovalle, a destra, verso il Passo di Giau. La sede stradale è più stretta. Il traffico è però minimo. C’è spazio per un po’ di svago, e, in cima, per qualche foto. Sul versante opposto, appena prima di Selva di Cadore, ho tempo per una breve deviazione verso Colle Santa Lucia. Riscopro il Belvedere, affacciato su un arco che spazia tra il Pelmo, il Civetta e le pendici della Marmolada.

Il Monte Civetta dal Belvedere di Colle Santa Lucia (foto Arturo Cocchi)

Il Monte Civetta dal Belvedere di Colle Santa Lucia (foto Arturo Cocchi)

 

Incrocio l’ennesima carovana di porschisti austro-tedesci, prima della breve ascesa verso l’ultimo passo, la Forcella Staulanza, nell’estrema propaggine bellunese dei Monti Pallidi, prima del definitivo scollinamento. Uno spuntino nel rifugio del passo prima della discesa, nella quale, complice l’orario di riconsegna da rispettare, evito ulteriori divagazioni, con l’eccezione di un paio di foto nei borghi del fondovalle. Gli ultimi chilometri in statale scorrono lentamente, in fila. Entro nell’A27 a Longarone. Il finale in autostrada è in tutta tranquillità. Nel primo tratto c’è qualche bel curvone, poi comunque il traffico – è venerdì pomeriggio – cresce. C’è l’occasione per gli ultimi esperimenti sulle varie modalità di guida e cambio, prima di ritrovare inesorabilmente la sagoma del Centro Porsche. Posteggio, entro e saluto l’addetta della reception, che avevo già conosciuto. Il responsabile del servizio mi vede, mi va a riprendere l’auto e mi aiuta nel trasloco. Tra un confronto non fugace sull’esperienza appena vissuta e la firma del modulo che chiude la pratica, è il momento del commiato.

Dopo aver percorso 350 km, perlopiù in montagna, a bordo della GTS, ne guido altri 390 in autostrada sulla mia monovolume, verso Genova, città natia dove trascorrerò il weekend. La giornata con la supercar – la terza, tutte con risveglio all’alba e non più di 5 ore di sonno a notte – non ha lasciato strascichi: arrivo alle 22, più fresco che dopo altre scorribande analoghe. Lungo la tratta ligure, ripenso agli 850 km vissuti su una delle supercar più desiderate con immancabile nostalgia. Nel parcheggio dell’autogrill, vorrei riavviare il motore da sinistra: mi ritrovo a spegnere/accendere le luci. Andrò avanti così per 3 giorni. Padova, le Dolomiti – e Le Mans – sembrano già lontane anni luce.