La sua è una delle valli più suggestive dell’intero Trentino, dominata dalle Pale di San Martino: nel Comune di Primiero il cielo a seconda delle stagioni ha il colore della carta da zucchero o del mare al mattino, e ha tante storie da raccontare. Storie di pastori energici e di artigiani raffinati, di donne con le mani ruvide, segnate dal freddo e dal lavoro, ma sempre capaci di una carezza, e di bambini con le guance sporche di mela e cannella. Tenuto vivo dal verde intenso dei boschi, qui il tempo ha ancora un senso ed è scandito da gesti che colorano la memoria come dipinti. Una passeggiata tra case di legno e pietra. Una camminata silenziosa nella neve, osservando le proprie tracce. Una tazza di tisana di erbe davanti al “camin che fuma”.
Nel maso de “El camin che fuma”, punto di riferimento della comunità. Per omaggiare questo stile di vita così in controtendenza rispetto a tutto ciò che inseguiamo – così “slow”, potremmo dire – Gianna Tavernaro, “la signora delle montagne”, ha battezzato proprio così il proprio splendido maso, “El camin che fuma“. Ed è da qui che si può partire per gustare a pieno la bellezza della valle, dai balconi fioriti di tre casette di legno affacciate sulla strada che da Fiera va a Passo Cereda, punto di riferimento di un’intera comunità. Nella cucina, riscaldati dal fuoco di una stufa a legna, risuonano i racconti delle Dolomiti che furono, fra tradizioni, leggende, aneddoti di vita vissuta, genealogie di famiglie che hanno fatto la storia del luogo.
Turisti, locali, sindaci, persino qualche nobile: non c’è nessuno che non conosca “la Gianna” e suo marito Cornelio, coppia solidissima famosa per aver fondato in giovane età Malga Canali, ormai storico ristorante trentino nel cuore della Val Canali, oggi gestito da una delle loro figlie. All’età della pensione, invece che godersi il meritato riposo, i due hanno deciso di lasciare la malga – presa d’assalto dai turisti di tutto il mondo e troppo impegnativa da gestire – e lanciarsi in un’avventura più spirituale, aprendo le porte di casa e trasformando la propria abitazione in un luogo di ristoro e “ricovero” per pochi intimi. Con l’obiettivo, per dirla facile, di “insegnare a vivere slow”.
“Le stagioni dell’animaso”. Per soggiornare da Gianna e Cornelio, d’estate come in inverno, bisogna prenotare mesi prima. Le camere da letto sono solo quattro e una volta qui la formula è uguale per tutti: mezza pensione, con cena a sorpresa ogni sera cucinata dalla padrona di casa. Vellutata di zucca, polenta con i funghi, costine di maiale, frittata di cipolle fatta con le uova del pollaio dietro casa. Inutile dire che i prodotti sono a chilometro zero e che le zuppe qui hanno un sapore antico e speciale, che va oltre la delizia del palato. Il bello però arriva dopo aver mangiato, quando gli ospiti restano a gustare una grappa o una tisana intorno al fuoco e Gianna racconta loro storie che ormai non si tramandano più. Per raccoglierle ha anche pubblicato un libro, “Le stagioni dell’animaso” (dall’unione di “anima” e “maso”), primo titolo della casa editrice Storiedichi Edizioni, che invita a visitare questo mondo in punta di piedi, mese dopo mese, seguendo il ritmo della natura e del battito del cuore. Leggerlo significa entrare in sintonia con questo luogo magico e scoprirne i segreti e le leggende più curiose, a partire da quella del Mazaròl, personaggio fantastico del folklore locale, suscettibile e vendicativo nei confronti di chi tradisce la sua fiducia.
Tra le case affrescate di Tonadico. Di cose da vedere, a pochi chilometri dal maso di Gianna, ce ne sono moltissime. In pochi minuti di macchina si arriva ad esempio a Tonadico, piccolo borgo ben conservato in mezzo alla campagna, caratteristico con le sue case affrescate e le opere d’arte di legno e pietra che spuntano qua e là. La chiesetta di San Vittore e Corona e Palazzo Scopoli racchiudono la storia della valle, che inizia nell’anno Mille con un magazzino di granaglie per poi diventare palazzo di Giustizia e ancora residenza di una potente famiglia di notai. Oggi Palazzo Scopoli è la “casa del cibo” e raccoglie la tradizione enogastronomica locale. Da non perdere.
Il Museo della Scuola di Siror. Un altro delizioso borgo nelle vicinanze è Siror, il “paese delle fontane”, con il suo Museo della scuola, che racchiude secoli di tradizione dell’istruzione italiana. L’edificio che per molti anni ha ospitato la Scuola Elementare di Siror qualche anno fa è infatti tornato a vivere grazie a un’iniziativa del Comune di Primiero San Martino di Castrozza, dell’Istituto Comprensivo e del locale Comitato Tradizione e Cultura, e soprattutto grazie ai maestri promotori, Flavio Taufer e Pietro Depaoli. Cimeli storici, testimonianze e materiale di ogni tipo sono stati raccolti per dare vita a questa affascinante rievocazione, un Museo che mostra al pubblico tutto ciò che fino a ieri dormiva sepolto negli archivi privati o scolastici. Visitarlo è fare un tuffo nel passato, in un’Italia che non esiste più ma vive nei ricordi d’infanzia di tanti adulti di oggi. Un “tuffo” capace di insegnare molto anche ai nostri bambini, ormai lontani dalla cimosa e dal pallottoliere, ma ancora capaci di meravigliarsi e incuriosirsi, trasformando lo stupore in nuovi spunti per l’immaginazione.
Nella fattoria didattica dell’Agritur Broch. Per gli amanti degli animali o per chi ha bimbi piccoli, la fattoria didattica dell’Agritur Broch è certamente un altro luogo da visitare. Nella stalla di legno di questo agriturismo a conduzione familiare si trovano una ventina di mucche, più una decina di pecore e qualche pollo e coniglio. Ogni ospite ha un nome e lo sguardo di chi viene trattato con cura e rispetto. A illustrare i passaggi della mungitura, caratteristiche e curiosità di ogni animale, è Giulia, una delle tre figlie della famiglia Broch, che manda avanti da anni un’attività ecosostenibile come poche altre in Trentino. Per Giulia ogni mucca è un pezzo di cuore e quando racconta aneddoti sulle sue “piccole” quasi si commuove. La fattoria è una moderna arca di Noè che propone iniziative per adulti e bambini, che qui possono imparare a mungere, fare il burro, andare a cavallo e conoscere la vita degli animali attraverso i laboratori organizzati. La struttura comprende anche un ottimo ristorante che serve cucina tipica locale: da provare i canederli di spinaci e spatzle e l’ottimo strudel.
L’Enrosadira, il tramonto sulle Dolomiti. Il tramonto sulle Dolomiti, anche noto come Enrosadira, è un crescendo di emozioni e colori che sfumano dal giallo al rosa, uno stato d’animo incantato che fonde il freddo dell’inverno dolomitico col calore di immagini di una bellezza struggente, sigillato da una coltre di neve e silenzio che invoglia alla riflessione e alla ripartenza. Per apprezzarlo al meglio è possibile partecipare ad alcuni appuntamenti guidati organizzati dal Parco di Paneveggio Pale di San Martino, con passeggiate sulla neve adatte a tutti (impraticabili però col passeggino) che permettono di godere dell’ora blu quando la luce lascia spazio alle stelle. Al termine dell’escursione è possibile fermarsi in uno dei locali convenzionati per gustare una merenda a base di dolci della tradizione e taglieri abbinati a birre artigianali, vini del Trentino o a una tisana calda.
Il viaggio tra le bellezze e le delizie di questa piccola valle potrebbe continuare, passando da Fiera e da Mezzano, ma per un soggiorno ristoratore questi spunti sono già sufficienti. La montagna, del resto, è fatta per essere scoperta a poco a poco, addentrandosi nei suoi segreti col passo silenzioso di un animale selvatico, e con lo stesso ingenuo sguardo. Farsi guidare, però, è fondamentale, perchè pochi posti al mondo come le Dolomiti racchiudono storie e Storia, leggende e verità, tradizione e modernità, il tutto corroborato dall’amore e dal rispetto per la natura, che da queste parti sono la religione laica principale. Se questo paradiso durerà lo dovremo all’impegno quotidiano di chi abita questi luoghi fragilissimi, a Gianna e Cornelio, alla famiglia Broch, ai fondatori del Museo della Scuola. A tutte quelle persone che parlano la lingua antica della montagna e la tramandano a noi forestieri. Una lingua così lenta, così diretta, così piena d’amore.