La montagna e la natura come luoghi dove ritrovare sé stessi. Riconquistare la grazia della lentezza, una rinnovata capacità di osservazione, l’immersione nella forza del paesaggio sono gli elementi di una possibile rinascita. Sono le idee che ispirano il Trento Film Festival, la rassegna cinematografica dal 28 aprile al 7 maggio. Trento diventa, come avviene dal 1952 ad oggi, la capitale internazionale del cinema e delle culture di montagna, con oltre 130 film e più di 150  appuntamenti per tutte le età.

Tanti gli ospiti italiani e internazionali, come gli alpinisti Hervé Barmasse, Tamara Lunger, Alex Txikon, Sílvia Vidal, David Göttler, Thomas Huber, la scrittrice e climber Anna Fleming, l’esploratore Alex Bellini, gli scrittori Mauro Corona, Francesca Melandri, Enrico Camanni, Tiziano Fratus e Davide Longo, l’attrice Violante Placido, il fotografo Jim Herrington, il giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori, e tanti altri.

 

La 71esima edizione si apre con l’anteprima internazionale di “A Passo d’uomo” (Sur les chemins noirs), diretto da Denis Imbert, che in autunno sarà distribuito nelle nostre sale.

La seguitissima sezione “Destinazione…” torna nel 2023 a esplorare paesaggi e culture del continente africano, rivolgendo lo sguardo all’Etiopia, per invitare lo spettatore a confrontarsi con immagini, storie, paesaggi e tradizioni di un Paese unico e affascinante, affrontando fenomeni geopolitici epocali, troppe volte ignorati o sottovalutati.

Non mancheranno le proposte del T4Future, la sezione del Festival dedicata alle nuove generazioni: un ricco programma di proiezioni, laboratori e attività pensato per favorire l’educazione all’immagine e promuovere tematiche legate allo sviluppo sostenibile, alla tutela dell’ambiente e all’educazione alla cittadinanza attiva.

“A passo d’uomo” 

“A Passo d’uomo”

Il film è tratto dal libro omonimo e autobiografico di Sylvain Tesson, autore particolarmente amato a Trento dove lo scorso anno il film La pantera delle nevi, che lo vedeva protagonista insieme al fotografo naturalistico Vincent Munier, ha vinto la Genziana d’Argento. Sylvain Tesson nell’agosto del 2014, in seguito ad una caduta da diversi metri, dopo essersi arrampicato in preda ai fumi dell’alcol sulla facciata dello chalet di un amico, rimane in coma per un lungo periodo e con fratture multiple. Il suo calvario ospedaliero dura circa un anno. Ed è a questo punto che Tesson, recuperate in parte le sue facoltà motorie, decide di attraversare la Francia a piedi. Inizia così una lunga camminata nel paesaggio periferico, a volte aspro e inospitale del Paese, che, nel film diventa il viaggio che compie Pierre, il protagonista del film, interpretato dal premio Oscar Jean Dujardin.

Nel suo camminare verso la guarigione, Pierre percorre soltanto i “sentieri neri”, quelli meno battuti e conosciuti, quasi a voler cercare un’entrata secondaria alla vita. Tesson ci propone il viaggio metaforico di una umanità malata che non può che sopravvivere se non recupera il suo rapporto profondo con la natura. Un messaggio di grande attualità che diventa estremo in Songs of Earth – “La Canzone della terra” per la regia di Margreth Olin.

“La Canzone della Terra” 

“La Canzone della terra”

Prodotto da Wim Wenders e Liv Ullmann, “La Canzone della terra” è la magnifica celebrazione in immagini e musica del paesaggio estremo della Norvegia occidentale della Valle di Oldedalen. Nei luoghi dove è cresciuta e dove sono vissuti i suoi genitori, Margreth Olin confeziona, grazie ad un sound design che si fonde con le immagini sublimandole, un spazio di piena immersività. Le note danno musica al vento e alle cascate. Le riprese aeree inseguono, come in pochi casi il cinema ha cercato, nuove dimensioni. La soggettività si dirada, l’uomo diventa complemento e non più centro. Allo spettatore si prospetta l’invito ad un vero viaggio esistenziale in una dimensione inusuale dove si è costretti ad abbandonare le nostre ancore di salvezza ma anche i nostri blocchi. Vita e morte si sfumano dando un nuovo senso, più leggero, al nostro essere presenti.

La chiave di “Songs of Earth” è quindi quella del sentire più che del capire, nella consapevolezza che ogni equilibrio, anche se primordiale, può vacillare. La vita dei genitori, anziani e prossimi alla fine, crea un parallelismo con quanto sta accadendo alla natura. E se il ciclo della natura, in un processo di connessione alla stessa, appare accettabile e normale, la minaccia dell’Antropocene acceca e fa smarrire. Il racconto di Margreth Olin segna una delle esperienze cinematografiche più importanti degli ultimi anni in ambito documentaristico.

“Wild Life” 

“Wild Life”

Il passaggio dal legame dei genitori di Olin alla coppia di Kristine e Duog Tompkins, avviene sempre nel segno di un profondo sentimento d’amore. L’ultima produzione National Geographic, “Wild Life”, firmata dai registi premio Oscar per “FREE SOLO”, Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin, ripercorre le vicende di Kristine, ex CEO di Patagonia e presidente e co-fondatrice di Tompkins Conservation, in un’epica storia d’amore che attraversa i decenni, selvaggia come i paesaggi che si è impegnata a proteggere per tutta la vita. Una storia che li ha portati a fare la più grande donazione di terreni privati della storia per dar vita ad aree di protezione di sterminati territori nel sud del Cile.

“Rispet” 

“Rispet”

Per la chiusura il festival gioca in casa proponendo il film d’esordio della regista trentina Cecilia Bozza Wolf, già premiata al festival nel 2017 per il documentario Vergot, interamente girato nella vicina Valle di Cembra con attori non professionisti. La comunità di un borgo di montagna, appare all’esterno come coesa e legata da vincoli di solidarietà e comunanza. La realtà però nasconde dei lati oscuri con cui i protagonisti saranno chiamati a confrontarsi. Un film originale e inusuale, a chilometro zero, frutto anche dell’alleanza tra Film Commission Südtirol e Trentino Film Commission.