Davvero un giorno vedremo brillare pannelli fotovoltaici sul tetto degli Uffizi, oppure piccole pale eoliche volteggiare nei giardini della Biennale di Venezia, magari trasformate in installazione d’arte? Quello che sembra uno scenario degno di un romanzo fantasy potrebbe in realtà essere, a breve, oggetto di discussioni sul futuro dei musei, il loro confronto con la crisi climatica e le conseguenze di eventi estremi. Perché in tutto il mondo, non solo in Italia, direttori, capi di Soprintendenze e ministri della Cultura e dell’Ambiente sono chiamati a diventare i protagonisti di quella che sarà una rivoluzione di uno dei settori più strategici di molti Paesi: il rilancio dei musei. Luoghi non più polverosi, ma in grado di creare un legame con la comunità esterna. Testimoni del passato e dell’arte in generale, devono farsi portavoce di messaggi culturali e approcci esemplari. Così, se da un lato dovranno trovare pratiche di gestione che minimizzino l’impatto sull’ambiente, dall’altro sono chiamati fin da ora ad offrire il proprio contributo alla crescita di una coscienza ambientale. E mai come adesso, bisognerà trovare un equilibrio tra la tutela del patrimonio artistico e la conservazione dell’eredità paesaggistica e ambientale.

 

Arte e sostenibilità: da dove cominciare?

Ma come riscaldiamo i musei in tempo di crisi energetica e come affrontiamo la tempesta che ha iniziato ad impattare sui già complicati bilanci dei musei? E quanto consumano le illuminazioni delle sale? Come possiamo diffondere la cultura della sostenibilità? E soprattutto come verranno spesi i soldi che il capitolo cultura del PNRR destina ai musei? “In pratica, la domanda che ci dobbiamo porre è: come sarà il museo del futuro alla luce delle sfide lanciate dalla sostenibilità e dal cambiamento climatico?” Maurizio Vanni, museologo e docente dell’Università di Economia Tor Vergata è considerato un esperto di marketing museale. Sull’argomento, il professor Vanni ha scritto Biomuseologia. Il museo e la cultura della sostenibilità (Celid, 2022). È una sorta di manuale di “sopravvivenza” per direttori dei musei e di tutti gli operatori che si occupano di trasformare una delle istituzioni più classiche del mondo in un servizio pubblico moderno che produce cultura ma è anche inclusivo, ecocompatibile, economicamente e socialmente sostenibile.

Maurizio Vanni, museologo e docente dell'Università di Economia Tor Vergata, autore di Biomuseologia. Il museo e la cultura della sostenibilità (Celid, 2022)
Maurizio Vanni, museologo e docente dell’Università di Economia Tor Vergata, autore di Biomuseologia. Il museo e la cultura della sostenibilità (Celid, 2022) 

Cos’è la biomuseologia

Da qui la biomuseologia, scienza alla quale secondo Maurizio Vanni bisognerà affidarsi sia per progettare strutture museali ex novo, sia per rimettere in sesto quelle secolari che abbiamo in Italia. L’autore del libro racconta come molti musei debbano ancora affrontare questa sfida in maniera sistematica sia nella pianificazione di gestione interna, sia nell’offerta culturale e didattica. “Quasi tutte le strutture museali di recente costruzione hanno assecondato pratiche green, ma la vera sfida, però, è quella di ridurre in modo consistente l’impatto ambientale per tutte. Missione non semplice in un Paese come l’Italia dove la maggior parte dei musei sono inseriti all’interno di edifici di rilevanza storica”.

Le priorità sono due: far capire che il museo non è solo un contenitore di opere, ma deve farsi carico di divulgare i temi della sostenibilità e il cambiamento climatico e gestire dall’interno l’impatto ambientale rispettando le linee guida del ministero della Cultura. Riqualificazione ed efficientamento energetico sono dunque i primi passi da fare. Facile a dirsi, difficile e difficilissimo a tradurlo in pratica, visto che in Italia, dice senza mezzi termini il professor Vanni: “Gli unici musei davvero ecosostenibili sono presenti in Trentino Alto Adige: il Museo delle Scienze di Trento (Muse) e il Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto (Mart).

Hermitage, San Pietroburgo (Russia) - (Jarry/Tripelon/Gamma-Rapho via Getty Images)
Hermitage, San Pietroburgo (Russia) – (Jarry/Tripelon/Gamma-Rapho via Getty Images) 

All’estero? L’Hermitage di San Pietroburgo che ha recentemente ridotto del 60% il consumo enegertico. È bastato sostituire il tradizionale sistema di illuminazione con impianti a risparmio energetico e la California Academy of Sciences di San Francisco, complesso di ben 11 edifici ha un tetto verde progettato da Renzo Piano. Non solo è fonte di energia, ma mantiene l’edificio ad una temperatura costante. Il museo di San Francisco è anche ai massimi livelli per l’educazione ambientale e la promozione della sostenibilità”.

California Academy of Sciences, San Francisco (Usa)
California Academy of Sciences, San Francisco (Usa) 

Spegnere la luce non è una soluzione

“Elefanti stupendi e unici al mondo, ma con problemi di impianti vecchi, umidità e luci non rinnovate che consumano un sacco di energia e molto impattanti”, così Maurizio Vanni in poche righe descrive la situazione dei grandi poli museali sia italiani che europei. Basta pensare che l’85% di quelli italiani si trova all’interno di un edificio di rilevanza storica e dunque vincolato. Così i direttori fanno quello che possono: evitano soprattutto gli sprechi, spengono le luci di notte, abbassano il riscaldamento, tolgono la plastica e riducono l’uso della carta”.

Anche all’estero le cose non vanno meglio. L’anno scorso il Louvre ha comunicato di voler ridurre del 10% il proprio consumo, ma in cinque anni. Al Guggenheim di Bilbao il direttore punta sul riciclo dei materiali. Poco, considerato l’emergenza climatica. Per la svolta vera, spiega il progessor Vanni, servono finanziamenti. “Perché la sostenibilità va innanzitutto progettata”.

Guggenheim, Bilbao (Spagna)
Guggenheim, Bilbao (Spagna) 

Un team interdisciplinare: un solo direttore non basta più

“I direttori procedono lentamente e con buon senso, ma per trasformare davvero i grandi musei servono soldi, investimenti. Per questo è importante che i direttori siano affiancati da manager o funzionari che sappiano aprirsi a forme di finanziamento. E che non derivino solo dai fondi pubblici come Art Bonus e il Pnrr. Non più un singolo direttore, ma un team interdisciplinare. Servono competenze nuove, nuove figure professionali che abbiano specializzazioni non solo in Storia dell’arte, oppure in Conservazione e Restauro, ma anche in Economia, Marketing e Comunicazione, Gestione museale, Sociologia e Informatica”.

Vanni è sicuro: “Anche i territori beneficeranno di questa evoluzione, in quanto le nuove funzioni trasformeranno anche i musei meno blasonati in vere  e proprie destinazioni turistiche. Non ci sono alternative e questa è l’unica strada per salvare i musei dal fallimento”.