Non è solo questione di soldi, per affrontare le gravi carenze della rete idrica italiana ci vogliono un cambio di mentalità, nuove sinergie per organizzare gli interventi e puntare a tecnologie mirate. È uno degli aspetti che Tullio Montagnoli, amministratore delegato di A2A – Ciclo idrico sottolinea più volte nel parlare dell’emergenza siccità. Prima della attuale carica nella società multiservizi, che opera nei settori ambiente, energia, calore, reti e tecnologie per le città intelligenti, Montagnoli ha avuto diversi ruoli sia nella realizzazione di opere come progettista e direttore lavori, sia come gestore di reti acquedottistiche, fognarie, ed impianti di potabilizzazione e depurazione di acque reflue.

 

Perché per migliorare le infrastrutture della reta idrica non bastano i finanziamenti?

“Intanto bisogna parlare di tempi – risponde Montagnoli – perché è vero che siamo in una situazione di emergenza, ma non possiamo pensare di risolvere in due anni i problemi che si sono accumulati in cinquanta. I dati indicano che il 25% almeno delle nostre reti ha più di 50 anni e il 60% più di 30 e andrebbe sostituito, questo resta l’obiettivo primario, ma nel mentre bisogna individuare le perdite e ripararle. Quanto all’ammodernamento delle reti ci vorrà tempo per elaborare un piano di sostituzioni che si presenta molto impegnativo, perché le reti sono tante, molteplici i soggetti coinvolti e spesso mancano le capacità organizzative”.

Ritiene che sarà complesso anche spendere i soldi del Pnrr?

“Il problema è che le tante reti sono spesso gestite da enti molto piccoli, che anche avendo i soldi spesso non hanno la capacità di programmare investimenti e le competenze organizzative necessarie. Per fare un esempio, come a2a ciclo idrico siamo passati dai 25milioni di investimenti del 2017 ai 65 milioni del 2021. A monte però c’è stata, proprio a partire dal 2017,  una capillare riorganizzazione aziendale per individuare i reparti che  dovevano svolgere compiti precisi e addirittura anticipare eventuali intoppi. In altre parole, se programmo un investimento e poi trovo l’opposizione di un utente devo subito avere pronta un’alternativa”.

Lei opera in una società quotata in Borsa che ha tra gli azionisti anche i comuni di Brescia e Milano. Ritiene che per avere le capacità finanziarie e organizzative sia importante la compartecipazione tra pubblico e privato?

“Il punto non è quale quota detiene il pubblico o il privato, piuttosto l’obiettivo che ci si pone, la tensione al risultato sulla base, ripeto,di una chiara organizzazione per garantire il miglior servizio agli utenti con tariffe sostenibili. Deve essere chiaro che non basta l’accesso al credito, che è un problema per molti comuni, o la disponibilità finanziaria, ci vuole la volonta di fare progetti a lungo termine per formare il personale e investire sulle tecnologie”.

La parcellizzazione nella gestione delle reti idriche italiane è un problema in questo senso?

“Beh, tenga conto che in questo periodo di crisi ci sono stati chiesti i dati sulla situazione idrica del territorio in cui operiamo da tre differenti Enti un numero enorme di enti: il buon senso vorrebbe che sarebbe più semplice se ci fosse un organismo unico con cui interfacciarsi e a cui si possa fare capo, che possa fornire un quadro chiaro della situazione. Il problema è che ci sono 2550 gestori di reti idriche in tutta Italia e in tante zone del Paese non si è organizzato un sistema di coordinamento. Tra i gestori ci sono società di grandi dimensioni per azioni e piccoli comuni che continuano a gestire il servizio in house, ma poi devono affrontare costi enormi quando devono costruire un depuratore ad esempio per 500 persone. Per questo parlavo di gestione industriale, perché mettendo insieme diversi comuni si può fare sinergia, si possono trovare partner che hanno competenze e organizzazione nel privato, che aiutino nella crescita e nella programmazione”.

Con la siccità si è posto l’accento su due ambiti in cui operare per risparmiare le risorse idriche: il riuso delle acque e l’agricoltura. Cosa propone A2A?

“Oltre a programmare investimenti su reti e depurazione da noi gestiti, ci siamo concentrati anche sulla riduzione dei consumi di acqua utilizzata come ad esempio per la pulizia dei filtri degli impianti di trattamento. Ci siamo resi conto che nel processo industriale dobbiamo efficientare ogni specifica parte, che potevamo ottimizzare per non sprecare l’acqua potabile. È uno dei fattori sui quali abbiamo lavorato di più. Abbiamo poi investito molto nella ricerca sull’ottimizzazione dell’uso dei reagenti nella potabilizzazione e nella depurazione, elementi fondamentali per il funzionamento degli impianti, abbiamo creato specifici gruppi di lavoro per trovare il punto ottimale di funzionamento di questi impianti”.

E il riuso di acque in agricoltura?

“Occorre fare una precisazione: di norma l’acqua depurata dai nostri impianti viene scaricata in canali irrigui, quel che stiamo facendo con i consorzi di bonifica è  varare un progetto per affiancare alla qualità dei reflui depurati l’ottimizzazione di specifici sistemi di irrigazione. Un altro progetto in cui crediamo molto, anche per la salute degli ecosistemi, riguarda la scelta delle fonti migliori per i prelievi. Abbiamo sperimentato un sistema, già in uso in Danimarca, che ci consente di fare indagini mirate nel sottosuolo fino a 300 metri di profondità, per ricostruire il modello idrodinamico del sottosuolo. L’emergenza di questi mesi ci ha insegnato che è assai rischioso prelevare da un’unica fonte, perciò cerchiamo di trovare delle alternative per differenziare, integrando poi sistemi di interconnessione delle reti per minimizzare gli impatti sui singoli territori”.

Qual è il progetto che in questo momento le sembra più importante per affrontare la crisi?

“L’acqua non va sprecata. È una risorsa preziosa e sempre più scarsa. Per questo abbiamo creduto in un progetto di sensori e monitoraggio delle perdite che controlla costantemente la rete e ci consente di individuare subito le perdite. Non solo, il sistema Aquarius ci fa fa anche rilevare se una perdita è occasionale o strutturale e quindi raccogliere dati sicuri per decidere se si può o no procrastinare un intervento radicale. In questo modo possiamo possiamo fare un piano di sostituzioni ragionato ed oggettivo”.