La protezione del clima, i modelli e gli scienziati hanno fame di dati: misurazioni accurate su come il Pianeta si sta comportando e, assieme a lui, anche il nostro agire che influenza l’andamento della crisi climatica. Per esempio quante piante ci sono e dove, come se la passano le foreste. Al complesso dataset mondiale per fare la conta delle emissioni di carbonio nell’atmosfera, si aggiunge ora uno strumento che fornisce dettagli ad alta definizione alla mappa su come evolvono le nostri migliori alleate nella lotta contro il riscaldamento globale. E su come potranno aiutarci in futuro.
Il progetto Gedi della Nasa e dell’Università del Maryland (Global ecosystem dynamics investigation) usa un laser montato da tre anni sulla Stazione spaziale internazionale (Iss). Da circa 400 chilometri di altezza, il sensore ha scandagliato, con miliardi di osservazioni, tutte le foreste temperate, tropicali ed equatoriali, per ottenere un mosaico molto definito della popolazione di alberi, la loro altezza e copertura. Abbiamo così un nuovo profilo digitale della Terra che ci può essere utile nel capire tante cose: quanta CO2 sono in grado di risucchiare dall’atmosfera, quanto potranno farlo in futuro e quanto danno fa la deforestazione al grande polmone verde.
Laser spaziale
Gedi è attaccato alla Stazione spaziale dal dicembre 2018 e, in questi anni, ha prodotto la più precisa mappa 3D delle foreste globali situate tra i 51,6 gradi di latitudine nord e sud, ovvero l’area del Pianeta sorvolata dalla Iss. Il suo laser (un Lidar) è studiato a questo scopo, rimbalza sulla sommità di chiome e arbusti e con l’eco della luce, si può disegnare un profilo della vegetazione e la sua altezza dal suolo. “Il prodotto di dati risultante, elaborato e messo in griglia con una risoluzione di 1 chilometro, consente ai ricercatori di studiare gli ecosistemi forestali, gli habitat animali, il contenuto di carbonio e i cambiamenti climatici”, si legge nel comunicato della Nasa.
Il bilancio del carbonio
Come è ormai noto, per raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi e Glasgow, e i traguardi dell’Onu in termini di riduzione delle emissioni, serve sapere con precisione non solo quanta anidride carbonica, o altri gas come il metano, stiamo pompando in atmosfera. Ma occorre anche misurare quanto dei gas serra venga sequestrato dalla componente vegetale. Questo è uno dei calcoli più complessi e deve iniziare, per l’appunto, dalla conta degli alberi. Ed è, semplificando, quello che fa Gedi con il nuovo mosaico di dati appena pubblicato: “Possiamo applicare questo quadro per stimare la biomassa a interi Paesi, per esempio. Molti Paesi nelle regioni pantropicali non hanno inventari forestali nazionali”, ha affermato John Armston, responsabile della convalida e calibrazione di Gedi e professore associato di ricerca presso il Università del Maryland. “Ora abbiamo i mezzi per fornire una stima della biomassa fuori terra con incertezza nota che può essere utilizzata per supportare la rendicontazione climatica e un’ampia gamma di applicazioni”.
Ci sono per esempio le conseguenze della deforestazione, in alcune aree (soprattutto equatoriali, una su tutte: l’Amazzonia) il taglio delle piante o gli incendi, oltre a eliminare il verde che sequestra CO2 dall’atmosfera, produce addirittura ancora più anidride carbonica proprio dalla combustione di fusti, rami e foglie. Questo ha conseguenze sul bilancio delle emissioni presenti e future. Ma si può usare anche in proiezione: per stabilire per esempio quanto aiuto potrà dare nella rimozione di gas serra un terreno libero ridestinato a foresta. Uscendo dall’ambito strettamente legato al bilancio climatico, la mappatura della vegetazione, in mano agli enti che governano le foreste dei singoli Paesi, sarà uno strumento utile per la gestione delle zone verdi, di quelle destinate alla produzione di legname, ma anche per gli habitat degli animali.
Sfamare i modelli
I modelli climatici per fare previsioni lungo decine di anni in avanti nella storia sono forse tra le costruzioni più complesse che l’uomo abbia mai tentato. Perché l’atmosfera, il terreno e i mari interagiscono tra loro in qualcosa che somiglia molto al caos. Ogni modello funziona meglio mano a mano che viene riempito di dati. Nel caso di Gedi, l’incertezza delle misurazioni è stata validata, scrivono gli scienziati, e verrà testata ancora in futuro, per avere numeri affidabili da investire nel conteggio globale. La Nasa ha annunciato che Gedi resterà operativo almeno per tutto il 2023, come chiesto dagli scienziati. La sua vita doveva concludersi a inizio 2022, rilasciato dalla Iss per bruciare nell’atmosfera: “Poiché Gedi sarà in grado di raccogliere dati fino al 2023, ci avviciniamo alla raccolta di dati contemporanea alla prossima generazione di missioni lidar e radar, come Nisar (Nasa-Isro SAR, che sarà lanciato nel 2024)”, ha concluso Laura Duncanson, dell’Università del Maryland. “Alla fine, i migliori prodotti non saranno basati solo su Gedi, ma su una combinazione di fonti di dati satellitari”.