La ricerca tecnologica su come produrre idrogeno verde è tra le più attive, così come quella su come trasportare e immagazzinare in modo sicuro ed efficace questo combustibile, ritenuto centrale per la transizione ecologica. Invece, relativamente poco si sa ancora sull’idrogeno naturale, il gas che l’interazione tra acqua e roccia genera in molti luoghi della Terra: è proprio per raccogliere informazioni su come lo si potrebbe sfruttare che a breve, condizioni meteo permettendo, partirà una missione italiana in Groenlandia. A guidarla è Alberto Vitale Brovarone, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Alma Mater di Bologna, e le attività di ricerca si svolgono nell’ambito del progetto DeepSeep, finanziato dal Consiglio Europeo delle Ricerche (ERC).
Il progetto ERC Deep Seep punta infatti a capire meglio la genesi dell’idrogeno naturale a grandi profondità e ad alta pressione. Il progetto indaga inoltre sulla genesi degli idrocarburi leggeri abiotici (diversi dagli idrocarburi “fossili”, che sono di origine biologica/biotica), in particolare il metano, attraverso le interazioni tra rocce profonde e fluidi geologici nella crosta terrestre. Il team di Vitale Brovarone ricerca testimonianze di questi processi in aree della storia geologica antica del Pianeta, riportati in superficie dai movimenti tettonici, come nelle Alpi, in Groenlandia, Mongolia, o nel Nord America.
Per questa missione gli studiosi faranno base nell’area di Nanortalik, un piccolo villaggio della Groenlandia il cui nome, in lingua Inuit, significa “dove vanno gli orsi polari”. Tra i fiordi al largo delle sue coste, per due settimane, il gruppo composto da quattro scienziati del DeepCarbon Lab, un ricercatore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR e uno dell’Università di Copenaghen, cercherà tracce della formazione e circolazione di idrogeno naturale in rocce antiche quasi due miliardi di anni. L’interesse per l’idrogeno geologico non nasce soltanto dal suo possibile uso come fonte energetica pulita: comprendere meglio la sua formazione può aiutare gli studi sulla nascita della vita nel nostro pianeta, poiché si ipotizza che l’idrogeno naturale potrebbe essere una fonte di energia per le forme di vita primordiali. “Oggi pensiamo che la vita sulla Terra si sia sviluppata sfruttando l’energia del Sole e i molti ingredienti presenti in superficie – spiega Vitale Brovarone – Ma gli stessi ingredienti si possono trovare all’interno della crosta terrestre: è quindi possibile che, sfruttando l’energia prodotta da semplici reazioni chimiche tra rocce profonde ed acqua, da cui si forma anche l’idrogeno, la vita si sia sviluppata prima all’interno della crosta terrestre e solo in seguito si sia trasferita ed evoluta in superficie”.
È indubbia, poi, l’importanza che ricerche di questo tipo possono avere per la possibile estrazione e lo sfruttamento di un combustibile che, sia quando viene utilizzato in motori termici, sia in celle a combustibile, non produce emissioni inquinanti, ma soltanto acqua. “Nonostante l’idrogeno naturale emerga sempre più come una possibile fonte energetica pulita per il futuro – osserva il geologo -, le conoscenze scientifiche sulla sua formazione e distribuzione sono ancora molto poche. La Groenlandia potrebbe essere un luogo unico in cui investigare questi processi, proprio per l’età molto antica delle sue rocce e per la loro composizione”. L’esperto spiega infatti che si è scelta la Groenlandia perché “lì l’età delle rocce permette il processo specifico di radiolisi. La radiolisi è quel che si fa in maniera industriale per produrre idrogeno, scindendo le molecole d’acqua attraverso la radioattività naturale delle rocce che formano i continenti antichi. Le indagini sull’esistenza dell’idrogeno naturale sono qualcosa di abbastanza nuovo – continua il geologo -, tanto che gli ingegneri non considerano lo sfruttamento di questa fonte energetica nelle loro previsioni per il futuro. In realtà, gli studi ci dicono che ce n’è tanto, anche in posti dove non lo immaginavamo. Al momento però, ci sfuggono molti elementi indispensabili per poterlo sfruttare al meglio e in sicurezza, stiamo facendo passi avanti, ma serve tanto lavoro“.
Oltre all’età delle rocce c’è un’altra caratteristica che fa della Groenlandia un punto di osservazione privilegiato. “Sappiamo che dove lavoreremo ci sono grossi depositi di grafite, un elemento importante nella transizione ecologica per tanti motivi, tra i quali uno dei principali è il suo utilizzo per la realizzazione di batterie. Per il nostro campo di indagine, invece, la grafite è fondamentale perché la presenza di carbonio (la grafite è la più stabile forma di carbonio presente in natura in condizioni standard n.d.r.) è ciò che fa da cartina di tornasole per rendere più visibile l’idrogeno. Insomma, a Nanortalik troveremo le condizioni indispensabili per comprendere meglio come l’idrogeno si muove in profondità e come reagisce. Non basta infatti individuare dove si trova questo combustibile, ma occorre capire come stoccarlo, trasportarlo e, in sintesi, usarlo in sicurezza”.
Vitale Brovarone insiste sui tanti aspetti insiti nelle ricerche del suo gruppo: “Sullo sfruttamento dell’idrogeno naturale si stanno muovendo molti interessi – dice – perché se ancora in ambito ingegneristico si punta su quello prodotto in maniera industriale, è chiaro che non si potrà fare a meno di quello di origine geologica. Nazioni come gli Stati Uniti, l’Australia, le Filippine e tante altre stanno investendo miliardi nella ricerca in questo campo e lo scorso anno la Francia ha inserito l’idrogeno naturale nel suo piano per la decarbonizzazione industriale. Come detto, però, stiamo ancora scoprendo il mondo dell’idrogeno, e soprattutto molte indagini sono necessarie per comprendere la sua reattività con le rocce e la sua possibile conversione in molecole con potenziale di riscaldamento globale molto alto, come il metano. Dobbiamo insomma evitare che il suo utilizzo vada in direzione opposta rispetto a quella di una riduzione delle emissioni climalteranti. Un altro aspetto che necessita di studi approfonditi è l’effetto dell’estrazione di idrogeno o del suo stoccaggio sulla biosfera, su cui ancora gli studi approfonditi sono ancora pochi. La cautela, quindi, non riguarda soltanto l’impatto che lo sfruttamento dell’idrogeno naturale può avere sulla transizione energetica e l’economia, va approfondito il suo impatto climatico“.