Sono partiti con l’intenzione di salvare i ghiacciai alpini, anzi di farli adottare, ma il modus operandi non è piaciuto affatto a chi li studia da sempre. La startup milanese Glac-Up, fondata da quattro 23enni formatisi alla Bocconi di Milano, a poco più di un anno dalla sua nascita sta già affrontando una prima crisi. Alcuni giorni fa una lettera firmata da 40 ricercatori e accademici italiani di otto istituti differenti, fra i quali il Comitato Glaciologico Italiano e la Società Meteorologica Italiana, hanno bollato l’operazione come “greenwashing”, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo o ambientalismo di facciata.
“Al fine di rallentarne la fusione e il ritiro, sono sempre più diffusi sulle Alpi i progetti di copertura dei ghiacciai con i teli geotessili”, si legge nella lettera. “Tali pratiche non rappresentano uno strumento per combattere le conseguenze del cambiamento climatico e del riscaldamento globale (…). Raccontare la copertura dei ghiacciai come una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico non è soltanto sbagliato, è anche un tentativo di greenwashing per descrivere un intervento impattante sull’ambiente da numerosi punti di vista, come sostenibile e anzi addirittura auspicabile (…)”.
I ricercatori sostengono che, considerati gli effetti negativi sull’ambiente e i costi proibitivi, coprire i ghiacciai con dei teli per evitare che si sciolgano durante l’estate può avere senso solo localmente per tutelare gli interessi economici legati al sfruttamento turistico. Ma non avrebbe nulla a che vedere con il contrasto al cambiamento climatico che anzi contribuirebbe ad aggravare.
“Non abbiamo mai pensato che questa fosse l’unica soluzione da adottare né che sia applicabile su larga scala” si difende Giovanni Cartapani, uno dei fondatori di Glac-Up. “Sostenibilità significa coniugare ambiente, economica e società. La sfida è trovare un equilibrio fra tutto questo. Dunque dare un futuro anche alle attività commerciali sui ghiacciai”.
I quattro ex studenti della Bocconi, gli altri tre sono Pietro Cimenti, Gabriele Doppiu e Sara Signorelli, si sono ispirati ad altri progetti legati alla raccolta della plastica in mare o alla riforestazione nei quali si unisce un ritorno economico e occupazionale alla salvaguardia del Pianeta e hanno deciso di applicarlo a quei ghiacciai dove l’uomo è già presente. Il primo e per ora unico intervento, è stato fatto sul ghiacciaio Presena in Trentino dove la startup ha raccolto fondi per coprire circa 2.000 metri quadrati di neve con l’obiettivo di arrivare a 120mila. Un piccolo passo, insomma, che punta in primo luogo alla sensibilizzazione.
La pratica di usare i teli geotessili non è nuova. Viene impiegata da anni da molti comprensori per preservare la superficie nevosa durante i mesi più caldi e consentire così di sfruttarla come pista da sci nel resto dell’anno. Lo stesso intervento di Glac-Up si è aggiunto a quello che il Consorzio Ponte di legno-Tonale già fa abitualmente. Ed è proprio questo che non è piaciuto.
“Non ho la tessera di Legambiente, sono ‘solo’ un ricercatore come gli altri”, premette Renato Colucci, glaciologo del Cnr e fra gli autori della lettera. “Queste operazioni sono sbagliate sul piano etico come su quello pratico. È una pezza goffa da mettere al riscaldamento globale che, per altro, distrugge l’ecosistema dei ghiacciai. Molto meglio allora usare i teli geotessili per coprire la neve che viene raccolta d’inverno per poi usarla la stagione successiva al posto dei cannoni, come fanno a Livigno. O al limite trasformare in neve l’acqua prodotta dal ghiacciaio stesso per poi spararla nella parte alta, nella zona di accumulo. È sempre un palliativo, fa però meno danni. In realtà una delle prime cose da fare sarebbe andare alla radice del problema e ridurre le emissioni di gas serra“.
Glac-Up non è l’unico caso. C’è anche la campagna promossa da Mastercard, che per ogni transazione eseguita in Svizzera tra ottobre e dicembre 2021, ha donato alla Cover Project Foundation le risorse necessarie per coprire una porzione di ghiacciaio pari alla grandezza di una carta di credito.
Trentino, in volo sul ghiacciaio Presena: senza teli termici la neve è scomparsa
Gli interventi di copertura artificiale avrebbero da un lato importanti conseguenze ambientali, generando anche scarti difficili da smaltire, e dall’altro, per motivi logistici ed economici, non potrebbero essere messi in pratica su un numero rilevante di ghiacciai. Per citare un dato, i ghiacciai italiani occupano oggi circa 360 chilometri quadrati e le azioni di copertura artificiale interesserebbero meno dello 0,08% di questa superficie. E si tratta di ghiacciai che ospitano piste per lo sci alpino o altre forme di strutture turistiche.
Reportage
Ghiacciaio dei Forni, dove la fusione non si ferma
di Emanuele Bompan. Foto Alessandro Speccher
Chiediamo lumi ad Antonella Senese, glaciologa dell’Università di Milano, che è stata contattata dalla startup per avere un parere. Fa parte di un dipartimento, quello di Scienze e Politiche Ambientali, che è stato fra primi ad aver cominciato a studiare l’efficacia dei teli geotermici a partire dal 2009.
“Di per sé la tecnica dei teli geotermici tecnica funziona, o meglio è efficace: possono mantenere la neve da una stagione all’altra arrivando perfino al 60% in quelle che vengono definite snow farming. Ma i ghiacciai sono cosa differente essendo degli ecosistemi. Credo che il cortocircuito di tutta questa storia sia nell’aver usato il Presena come simbolo, aver parlato di adottare i ghiacciai, ed essersi associati nell’operazione con la società che gestisce gli impianti, che appunto già usava questo sistema dal 2008 per ridurre l’uso di cannoni di neve e altre tecniche più impattanti rispetto ai geotessili. Su un ghiacciaio come quello, quindi, è possibile che sia una delle soluzioni migliori in termini di costi e benefici, almeno di primo acchito perché non abbiamo dati precisi nemmeno sul rilascio delle microplastiche a lungo termine. Su un ghiacciaio naturale invece è sconsigliabile. Noi avvertimmo i fondatori di Glac-Up che un messaggio come il loro avrebbe provocato dei mal di pancia. Ma non abbiamo firmato la lettera preferendo confrontarci direttamente con i ragazzi dando per assodata la buona fede”.
In ogni caso bisognerà poi vedere cosa succede sulla lunga distanza quando si usano teli del genere, specie a fine ciclo, per evitare scene come quelle viste ghiacciaio svizzero del Rodano. In una foto di Matthias Huss, glaciologo dell’Eth di Zurigo, i teli messi grazie ai fondi Mastercard appaiono in brandelli e mischiati al ghiaccio.
È leggendo un rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente che i quattro di Glac-Up hanno scoperto che entro cento anni il 90% dei ghiacciai alpini non ci sarà più. “Per questo abbiamo deciso di fare qualcosa”, conclude Giovanni Cartapani. “Vogliamo crescere e per farlo siamo ovviamente disponibili a confrontarci anche con chi ci critica”.
Vedremo se il messaggio, o forse dovremmo dire l’invito, verrà raccolto. Di sicuro l’opera di sensibilizzazione di Glac-Up non sta andando come previsto. Anche in assenza di malafede, la startup ha comunque dimostrato una certa dose di ingenuità. E il risultato somiglia ad una lezione: quando si tratta dell’ambiente e della sua difesa le buone intenzioni sono necessarie ma da sole non bastano.