Da uno a cinque, quanto inquinano i vostri vestiti? E in particolare, quante microplastiche perdono? In un futuro non molto lontano potrebbe essere abbastanza semplice rispondere alle domande, grazie al lavoro di Sophia Murden e Lisa Macintyre, due ricercatrici della Heriot-Watt University che hanno messo a punto una sorta di etichetta per classificare il grado di inquinamento da microplastica di diversi tessuti. La loro idea, spiegano dalle pagine di Plastics, è di mettere a punto un sistema snello che consenta di valutare i tessuti a colpo d’occhio.

Per ora il progetto è soprattutto quello di aiutare le aziende più volenterose ad adottare un metodo alternativo a quelli attualmente disponibili per valutare i tessuti che impiegano nella produzione dei loro capi. Le due ricercatrici, infatti, spiegano di aver già preso contatti con alcune aziende di abbigliamento, ma lo scopo ultimo è che partendo dai produttori si arrivi ai consumatori, offrendo loro un metodo facile per capire cosa scegliere di indossare. Non che non esista nulla nel campo: esistono dei metodi, cosiddetti gravimetrici, che consentono di fatto di pesare le fibre rilasciate dai tessuti, ha spiegato Murden. Questi sistemi però richiedono una lunga preparazione dei tessuti stessi, e sono alquanto costosi. Le due ricercatrici al contrario offrono una soluzione che ritengono più facile ma al tempo stesso accurata come i metodi più tradizionali per capire quante microfibre vengono rilasciate dai diversi tessuti.

Per sviluppare la loro scala, le scienziate hanno prelevato le fibre (direttamente dal filato) e le hanno sottoposte a lavaggi in simil-lavatrici da laboratorio. Hanno quindi utilizzato dei filtri per filtrare l’acqua rilasciata da questi lavaggi, e chiesto a un gruppo di volontari di stimare l’entità dei residui. Il riferimento era appunto una scala simile a una scala di grigi, scelta proprio perché, spiegano le autrici, si tratta di un sistema diretto e facile per avere un’idea di quante fibre vengono rilasciate. Per ora i test in laboratorio – effettuati usando del poliestere nero, tra le principali fibre sintetiche responsabili del rilascio di microplastiche – correlavano quasi alla perfezione con le valutazioni ottenute dai metodi più tradizionali.


“L’obiettivo finale è che i produttori scelgano materiali che abbiano il minimo impatto sul nostro ambiente – conclude Mudern – ma che consentano anche ai consumatori di prendere decisioni informate quando acquistano i loro vestiti”. Un’etichetta, basata su questa scala, potrebbe essere un buon punto di partenza, ma le ricercatrici ammettono che si tratta di un’idea tutta da esplorare, testando altre fibre, con altri colori, e valutando se magari si debbano usare diverse scale per diverse categorie di tessuti.