Mangia, pensa, ama, ma soprattutto diversifica. Se c’è una sensazione netta che ti restituiscono immediatamente pochi passi all’interno del Parco Dora di Torino durante Terra Madre Salone del Gusto 2024 è proprio questa: la straordinaria diversità del nostro cibo, la capacità di salvaguardarle gusti e realtà che stiamo perdendo, lo sforzo per ottenere prodotti che sposano il concetto di qualità, più che di quantità. E poi l’idea che pensare di unirsi, fare rete per proteggere ciò che la natura ci offre, sia ormai sempre più obbligatorio.
700 produttori di “We are nature”
L’Italia del cibo e della terra, quella diversa dalle regole della grande distribuzione, per quattro giorni come accade ogni due anni grazie a Slow Food si è radunata tutta lì a Torino, in un infinito dedalo di tende con i nomi di regioni, di presidi, di iniziative, food truck, conferenze e giochi all’aria aperta.Si celebr a la terra, la cultura del cibo, quel “we are nature” che è messaggio di fondo di questo gigantesco raduno di 700 piccoli produttori, di gente che spesso fatica ma si impegna, attraverso il biologico e una agricoltura più a misura d’ambiente, a proteggere ciò che madre natura ci consegna.
Il tutto avviene fra simboli: gli oltre 300mila visitatori hanno camminato tra i giganteschi piloni rossi di fabbriche oggi dismesse, dove è ricresciuta l’erba e fioriscono nuove idee e azioni, oppure saltato strade di fango per passare da uno stand all’altro, a ricordarci che le piogge sempre più intense dettate dalla crisi del clima stravolgono e stravolgeranno ogni territorio.
Ma è dentro i grandi tendoni, popolati da giovani e da attenzioni estreme alla sostenibilità – come le sedie e i tavoli fatti in cartone – che si incontrano le storie di chi resiste, di chi crede nel cambiamento o di chi semplicemente vuole mostrare un’altra via da percorrere.
Chi resiste in nome della biodiversità
Passeggiando tra i presidi Slow Food, come quello dei Prati e pascoli stabili, oppure perdendosi fra un’infinità di nomi di prodotti da scoprire, dalla Focaccia a libro di San Michele di Bari sino al Pisello Centogiorni del Vesuvio, colpisce l’occhio un lupo.
È raffigurato sui prodotti di una azienda della Valle della Lucania, si chiama Le Starze. Fa strano: una realtà che produce formaggi e olio, dal cacioricotta alle mozzarelle, ha deciso di usare il simbolo del lupo – quel predatore che oggi l’Ue con nuove regole vorrebbe arginare – come propria effige.
“Succede, qualche volta ci viene a trovare fin dentro in azienda. E sì, avendo tante capre cilentane libere e altri animali che proviamo a preservare e lasciare a pascolare in libertà, talvolta si corrono rischi. Ma il lupo è vitale per gli equilibri degli ecosistemi e la biodiversità, gli stessi grazie ai quali noi produciamo i nostri cibi. Ecco perché abbiamo deciso di celebrarlo, anziché combatterlo” spiegano dallo stand di Le Starze.
La tutela della biodiversità
Un concetto, quello di preservare gli animali e sviluppare politiche di convivenza, che si percepisce ovunque a Torino. Si va dall’importanza degli insetti, che garantiscono la biodiversità, sino ai plausi per i lombrichi che ci offrono suoli fertili dove fare rete, come quella Slow Beans, tutta dedicata alla “custodia e conservazione dei semi e dei legumi, salvaguardandoli dall’estinzione e dall’oblio” dicono. E siccome “siamo natura” e fra gli animali ci siamo anche noi, è anche dalle nostre storie che bisogna ripartire per capire cosa si può fare per proteggere la Terra.
I Presidi
Guardiamo ai Presidi per esempio, i progetti di Slow Food per salvaguardare le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire. Nell’edizione 2024 di Terra Madre ne sono stati presentati 28 in più rispetto al passato e fra questi c’è quello dei “Prati stabili e pascoli”, i pastori di 13 regioni che allevano fra Alpi e Appennino senza sfalciare, aiutando una montagna abbandonata a resistere all’avanzata del cemento o delle monoculture. Lì fanno formaggi unici, mostrando un’altra strada di resistenza e sapori. Lo stesso vale per i produttori dell’arancia belladonna di San Giuseppe in Calabria, che si battono per preservare un frutto che rischiava di perdersi a causa della mancanza di ricambio generazionale e la frammentazione delle proprietà terriere. Ma vale anche per i modi di creare e dare valore alle tradizioni italiane, come i cruxetti (o crosetti, o corsetti), quella variante di pasta che a Varese Ligure è dettata dall’originalità degli stampi risalenti alla Repubblica Marinara di Genova.
Le storie ricordano che il cibo è unione
Altre, tante storie, ci ricordano poi che il cibo è unione. C’è quella di Kateryna Pryhodko, ucraina che per via dell’invasione russa ha lasciato la sua fattoria e ha trovato una nuova casa in Italia creando formaggi insieme a Eros Scarafoni (caseificio Fontegrana nelle Marche).
Oppure lo straordinario lavoro di Manlio Larotonda, giovane gastronomo italiano che anni fa si è trasferito a Bogotà e a deciso di unirsi, nel lavoro, a i coltivatori di cacao, per dare vita ai laboratori di Cacao Disidente, un prodotto di tanta qualità e meno quantità, che aiuta a smantellare le logiche colonialiste del passato, dà valore a coltivatori e piccoli produttori locali di un cacao eccellente e aiuta anche, per esempio, chi è passato per il difficile contesto del narcotraffico, a impegnarsi in una nuova vita.
E poi persone che si uniscono in reti, come quelle per custodire il mais, oppure per i semi, o ancora per il caffè, come la Slow Food Coffee Coalition che per avere chicchi di qualità lavora a stretto contatto – dando loro una forma di sostentamento – con alcune delle comunità più povere nel mondo, dall’Uganda sino all’Honduras.
Storie di donne, come le 315 signore del miele che in Bolivia, nel Chaco, hanno dato vita all’Ammech, associazione che contemporaneamente preserva una specie di ape che rischiava l’estinzione, produce miele e fornisce lavoro in una comunità tutta femminile.
“Una bio-logica imperniata sulla vita”
Sono tutti racconti che ci ricordano come oggi l’agricoltura è anche sociale e che produrre alimenti e allevare in sinergia con la natura è possibile, per esempio sfruttando l’agroecologia, la rotazione colturale e le concimazioni organiche, con un concetto fuori dalle logiche strette dei sistemi convenzionali fatti di fertilizzanti e pesticidi.
Ma questa idea, questo concetto che a Terra Madre si respira perfino (dagli stand internazionali a quelli nazionali è tutto un profumo e un assaggio), rischia di non trovare lo sviluppo necessario se non si lavora in direzione di una nuova agricoltura.
Quale, la propongono direttamente la presidente di Slow Food Barbara Nappini, la presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini e quello di Legambiente, Stefano Ciafani, lanciando un messaggio al G7 dell’Agricoltura che si è svolto contemporaneamente in Sicilia.
“La soluzione non è pensare di controllare la natura, ma trattarla meglio, per aiutare anche noi. Per farlo servono iniziative lungimiranti, dettate non dalle emergenze, ma da una visione che guarda ai prossimi secoli” dice Nappini, sottolineando la necessità di insistere sempre di più sul biologico.
L’Agroecologia
Per riuscirci, chiosano e riassumono le tre associazioni, serve un modello agroalimentare sostenibile e giusto che passi per sei “sì”: un sì all’agroecologia anziché l’agricoltura intensiva, un sì al biologico contro pesticidi e Ogm, ma anche uno per aiutare e sostenere chi alleva ponendo al centro il rispetto per gli animali, puntando a ridurre il consumo di carne. E poi sì a migliorare l’educazione alimentare nelle scuole, abbandonando i cibi ultra processati; sì a ridurre gli sprechi dicendo stop alla cultura usa e getta e infine un grande sì a politiche concrete contro le agromafie perché come conclude Nappini, “dobbiamo abbandonare la logica basata solo sul profitto e adottare una prospettiva “bio-logica”, una logica imperniata sulla vita, che ci consenta di percepirci parte della Natura, che tuteli la biodiversità, la fertilità dei suoli, le risorse naturali: le uniche ricchezze davvero in grado di salvarci”.