In Europa circa 500 milioni di animali selvatici ed esotici si trovano in cattività come animali da compagnia, di cui 3 milioni solo in Italia e di questi il 150% risulta “non censito” non avendo provenienza tracciata e certa. Secondo le stime, almeno 1 pet esotico su 6 è coinvolto nella trasmissione di malattie zoonotiche all’Uomo. Così, lo scorso aprile 2021, il Senato Italiano ha approvato definitivamente la legge di delegazione europea 53 per vietare il commercio e la vendita di animali esotici e selvatici come animali da compagnia. È da sottolineare il fatto che nessuno degli animali selvatici attualmente detenuti come pet sarà né sequestrato né portato via ai suoi proprietari, ma quello che si cercherà di limitare sarà il commercio e l’allevamento futuro di altri esemplari. Tale regolamentazione è stata pensata principalmente per permettere di limitare il diffondersi di zoonosi (come Covid-19) ma allo stesso tempo si tratta anche di una grandiosa misura per la salvaguardia ambientale e faunistica.
Una legge coraggiosa, come ha dichiarato anche l’illustre primatologa Jane Goodall lo scorso 4 ottobre durante un meeting scientifico a riguardo, la quale ha espresso l’augurio che l’Italia abbia la forza di emanare un decreto attuativo coraggioso, che ad oggi rappresenta una scelta obbligata, e che altri Paesi seguano l’esempio italiano. Ma perché etologi di fama mondiale, ricercatori scientifici e grandi esponenti di benessere animale e conservazione faunistica sono contrari alla detenzione di animali selvatici come pet? Approfondiamo la questione a livello scientifico.
Il cane è un animale domestico, dal latino domus: casa. Come lui anche il gatto, il cavallo, il furetto, la vacca, l’alpaca e la pecora, cioè animali che si sono co-evoluti con l’essere umano e le cui componenti genetiche, etologiche e fisiologiche sono state plasmate nel corso dei millenni dall’interazione con l’essere umano. Interazione spontanea, come ogni relazione simbiotica e mutualistica tra specie viventi sulla Terra.
Le specie domestiche si distinguono da quelle selvatiche non solo per il comportamento, ma anche e soprattutto per la filogenesi (storia evolutiva) che le caratterizza e che ha portato gli animali domestici ad avere, in fase embrionale, un numero minore di cellule della cresta neurale rispetto ai selvatici e questo comporta dentatura diversa, secrezioni ormonali diverse, dimensioni dell’encefalo diverse, morfologia diversa e ovviamente comportamento diverso.
Questo è il motivo per cui un cane ci riporta la pallina spontaneamente e un lupo no: perché sono più di 15 mila anni che il Canis lupus familiaris cammina al nostro fianco e la sua attitudine positiva nei nostri confronti è scritta nel suo DNA, mentre cosa diversa avviene per le centinaia di specie selvatiche, che vengono addestrate al fine di essere docili nei confronti dell’essere umano. Per far sì che un cane viva con noi non è necessario privarlo della madre nei primi minuti di vita, anzi il contatto con i conspecifici è fondamentale per il suo benessere etologico. Al contrario, per far sì che una tigre sia addomesticata e docile verso l’Uomo è necessario imprintarla sull’essere umano, ossia plagiare la sua selvaticità e farle credere di non essere una tigre, motivo per cui per esempio la madre felina non può togliere la placenta ai piccoli appena nati se questi devono essere ammansiti dall’essere umano. Questo avviene per tutte quelle specie selvatiche che non nascono già predisposte all’interazione con Homo sapiens e che per interagire con noi hanno bisogno di subire forzature e modifiche comportamentali che esulano dal loro repertorio comportamentale specie-specifico.
Un pappagallo Ara non si poserebbe mai sul nostro braccio se lo incontrassimo mentre camminiamo in una foresta del Costa Rica e, quindi, se possiamo coccolarlo quando lo deteniamo in casa come pet è comprensibile realizzare che questo comportamento non sia naturale per l’individuo.
Ciò non significa necessariamente che quel singolo pappagallo stia soffrendo, ma sicuramente l’interazione con l’essere umano e la vita in casa non sono ciò che si definisce coerente con la sua etologia, oltre che poco etico nel rispetto dell’animale in quanto essere senziente.
Secondo alcuni studi, inoltre, in molti casi è quasi impossibile soddisfare tutte le esigenze etologiche specifiche degli animali selvatici e, rispetto alle specie domestiche, è più difficile raggiungere elevati standard di benessere per le specie esotiche e selvatiche, che è bene sottolineare sono comunque esemplari nati e cresciuti in cattività, ma, nonostante ciò, l’interazione con l’essere umano e la vita in un ambiente domestico sono considerati abusi etologici.
Tra i problemi del commercio delle specie esotiche come pet non ci sono solo quelli riguardanti il benessere animale, ma anche quelli ambientali, sia in termini di salvaguardia delle specie nei luoghi d’origine sia in termini di invasioni biologiche nei luoghi d’arrivo. Quello che è stato dimostrato, infatti, è un legame tra gli animali esotici commercializzati e l’invasione di specie aliene. Il fenomeno si riconduce anche alla diffusione di film e cartoni in cui sono presenti animali esotici, poiché aumentano la domanda di queste specie come animali da compagnia. Secondo i ricercatori, il desiderio di possedere un animale esotico come pet va incontro, dopo poco tempo, alla difficoltà nella gestione dell’esemplare, il che porta spesso ad un incauto e pericoloso rilascio in Natura, con il risultato di aver introdotto una specie aliena in un ecosistema già sufficientemente fragile.
Insomma, la legge 53 potrebbe davvero essere una pietra miliare nella storia del benessere animale e della conservazione faunistica ed ambientale, ma il mercato di esotici fattura circa 100 miliardi di euro l’anno in Europa, di cui 2 miliardi in Italia, e non è quindi difficile immaginare che chi ne trae profitto si senta minacciato dall’attuazione di questa legge. Alcuni, infatti, per contrastare l’iter della legge, sostengono che una norma che vieti il commercio di animali selvatici possa aumentare le zoomafie e il bracconaggio. Ma in realtà non è così.
Una legge che proibisce il mercato legale di un bene, automaticamente ne mina anche il mercato nero in quanto è molto più facile per un mercato illegale inserirsi laddove già esiste un mercato normato. Se di base non esiste la possibilità di commercializzare fauna selvatica, è molto più facile controllare quella detenuta, proprio come successe per il commercio di primati e grandi felini (che in Italia è illegale detenere) o per l’avorio.
La domanda di animali esotici come pet è uno dei principali motori del commercio illegale di animali selvatici. È stato stimato, infatti, che il 25% del commercio mondiale di selvatici sia composto da animali di provenienza illegale. I decreti attuativi della legge in questione potrebbero, a lungo termine, diminuire la richiesta di animali selvatici come pet e quindi diminuire l’offerta di questi, stabilendo un tassello importante nel contrasto al bracconaggio e pet trade, che sono tra le prime cause di minaccia estinzione per moltissime specie animali.
Rendere illegale determinati acquisti e comportamenti, inoltre, ha una funzionalità educativa e preventiva: i possibili futuri detentori di animali esotici saranno meno invogliati ad acquistare un animale non convenzionale se sanno che questo atto sarebbe illegale, comprendendo a lungo termine che obbligare un animale selvatico a vivere a contatto con l’Uomo dentro quattro mura è un desiderio nostro, che non solo non aiuta la conservazione faunistica e la salvaguardia dell’ambiente, ma anzi, le mette in pericolo oltre a non rispondere ai requisiti di benessere ed etica animale.
*Chiara Grasso è etologa e divulgatrice. Ha fondato l’associazione Eticoscienza