Rannicchiata nel cuore della giungla vietnamita, Son Doong, la più grande grotta del pianeta, aperta da 8 anni ai visitatori, è un modello di ecoturismo. Ma questo ecosistema unico è sotto minaccia a causa di progetti turistici “di massa” nonostante tutto.
Un dedalo sotterraneo, scavato ed eroso per milioni di anni, si innalza in alcuni punti fino a 200 metri d’altezza: potrebbe contenere un intero isolato di Manhattan, con grattacieli fino a 40 piani. Al suo interno, un tunnel di 5 chilometri, una barriera di calcite alta 90 metri – detta la “Grande Muraglia del Vietnam”, stalattiti e stalagmiti di dimensioni gigantesche. Nel 1991 Ho Khanh, un raccoglitore di legno e resina, ha scoperto per caso l’entrata della cavità, nascosta nel Phong Nha-Ke Bang, che è già area protetta e sta diventando parco nazionale, per essere elevato al rango di Sito Unesco World Heritage nel 2003. Tenta di tornarci, ma non riesce a ritrovare l’orifizio, sepolto com’è nella giungla.
Vietnam. Son Doong, lo spettacolo della grotta più grande del mondo
L’eden cade nel dimenticatoio per quasi 20 anni, fino al 2009, quando Khanh e una squadra di ricercatori britannici riusciranno a ritrovare quell’ingresso. La grotta verrà ufficialmente catalogata per essere, 4 anni dopo, aperta per la prima volta – in parte – al turismo. Per contenere i flussi, solo un’agenzia – Oxalis – ha il permesso di far visitare il sito. L’obiettivo è manifesto: evitare che Son Doong faccia la fine di alcuni luoghi simbolo del Paese, su tutti la celebrata baia di Ha Long e le spiagge di Nha Trang, prima della pandemia letteralmente alla mercé del turismo di massa.
Ad oggi, solo qualche centinaio di persone all’anno si addentra nella grotta. Entrare nel prezioso sito non è low cost: 50 euro per la semplice visita, che diventano 2.500 per esplorazioni di 4 giorni. “Dico sempre ai giovani che aspirano a esplorare la visita che il loro primo dovere è quello di proteggere l’ambiente, in modo che il privilegio che stanno per avere sia garantito anche ai loro figli – racconta all’agenzia di stampa France Presse Ho Khanh, che oggi ha 52 anni -. Gli introiti del business turistico vanno in gran parte alla popolazione dell’area, una manna per quella regione del centro del Vietnam, spopolata e particolarmente povera.
Nei tempi passati, i giovani entravano nel parco per raccogliere illegalmente la preziosa resina d’agar, particolarmente apprezzata nella produzione dell’incenso. Altri andavano a caccia di civette e porcospini, specie diventate molto rare, a livello locale. “Eravamo costantemente sotto la minaccia delle guardie forestali, senza contare che non stavamo facendo nulla di buono”, racconta Ho Minh Phuc, un ex raccoglitore di resina che oggi accompagna i tour autorizzati all’interno della grotta
Guide, portatori, proprietari di piccoli b&b per i turisti: circa 500 locali traggono il loro sostentamento da Son Doong e dalle altre grotte del parco nazionali. Ma le minacce che gravano sul sito rimangono grandi – lo ricorda una relazione dell’Unesco del 2019. Un progetto di teleferica-funivia per Son Doong è stato abbandonato, ma un altro, che potrebbe raggiungere una delle altre cavità. ad appena 3,5 km dal sito è tuttora allo studio, nonostante il deterrente Covid. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, la sua realizzazione provocherebbe “un cambiamento radicale nella natura dell’offerta turistica proposta” con un impatto “sicuro e irreversibile sull’ambiente, in gran parte vergine”.
C’è chi paradossalmente vede nell’attuale calma piatta da pandemia un potenziale fattore di rischio verso la massificazione del turismo futuro. Il coronavirus è infatti arrivato a far crollare dell’80 per cento i valori record registrati dal Paese nel 2019, quando il Vietnam vide arrivare 18 milioni di stranieri. Il contraccolpo della crisi è talmente pesante che il Paese potrebbe cedere alle sirene di qualunque promotore di forme di turismo e infrastrutture poco consone alla salvaguardia dell’area. Le autorità locali, spiega Peter Burns, un consulente che lavora su progetti di turismo sostenibile in Vietnam, racconta che “le autorità hanno messo in atto delle ottime politiche di conservazione, ma spesso le ignorano”. Secondo Ho Minh Phuc è cruciale, nel post-pandemia, tenere Son Doong lontana dal turismo di massa. “Sarebbe terribile – conclude – questa meraviglia naturale potrebbe letteralmente svanire in pochi anni, e la nostra fonte di sussitenza svanire”.