Iniziata la sperimentazione sugli ulivi malati nel sud della Puglia. Un nuovo battericida e fungicida nato dai laboratori di biochimica e microbiologia potrebbe portare ad una svolta nella lotta alla Xylella fastidiosa che ha già contagiato e in parte distrutto 21 milioni di piante. Sulla rivista Applied Microbiology and Biotechnology è stato pubblicato un articolo di ricercatori italiani (Università di Chieti, Perugia e Crea- Consiglio Ricerca in Agricoltura) che spiegavano i risultati ottenuti in laboratorio dal nanobattericida a base di argento. Si chiama Argirium SUNc e agisce su Xylella e altri batteri patogeni del pomodoro e del tabacco. La sperimentazione nelle fasi iniziali è già iniziata e riguarda ulivi nelle campagne tra Carovigno e Ostuni, provincia di Brindisi, e sarà condotta dalla Società Agrin, sotto la guida del ministero dell’Agricoltura e del direttore scientifico Stefano Convertini e in collaborazione con l’Università di Bari. Nel team multidisciplinare partecipano esperti fitosanitari biochimici e microbiologi.

Il protocollo

Prudente il professor Franco Nigro, esperto dell’Università di Bari che da tempo si occupa di malattie fungine dell’olivo: “Il nanomateriale è frutto di ricerca in campo medico, ora adattato ai vegetali perché abbiamo visto che funziona bene sui batteri. Ci stiamo lavorando da mesi. Adesso siamo nella fase preliminare al protocollo per verificare sia l’afflusso del nanomateriale fino alla chioma dell’albero, sia il dosaggio, la tempistica, i tempi di efficacia quelli per il monitoraggio. Sono fiducioso, perché i dati i vitro sono interessanti, ma dobbiamo vedere i risultati”. Lui insieme ai più importanti studiosi della Xylella fu una delle vittime della campagna negazionista del batterio e della gravità dell’epidemia. Uno dei libri finalisti del premio Strega (Il fuoco invisibile, di Daniele Rielli, Rizzoli) in 290 pagine ripercorre proprio quell’incredibile vicenda: dagli eco-complottisti agli appelli apparsi su Nature e Science per mobilitarsi a difesa della scienza.

Quindici ulivi

Luca Scotti, uno dei coordinatori del progetto, chiarisce: “Ad ottobre cominceremo a somministrare il composto attraverso iniezioni sul tronco. Abbiamo scelto una quindicina di ulivi attaccati dalla Xylella, ma non completamente compromessi, età intorno ai 40/50 anni. Verranno compiute analisi del DNA batterico per osservarne le variazioni. Il dosaggio dovrebbe ricalcare quello utilizzato nei dati di laboratorio, dosi minimali molto al di sotto della soglia per le acque minerali da bere. Il composto è stato, in questo anno, migliorato rispetto al nanocomposto utilizzato nello studio del 2023 e ha maggiore efficacia sia sui batteri che sui funghi – altro fattore che si è visto induce al peggioramento della condizione degli ulivi salentini”. I primi risultati, come negli studi in vitro, si avranno già a 6 e 15 giorni dal trattamento.

Spiega il professor Franco Nigro: “Potrebbe funzionare perché abbiamo registrato una riduzione della gravità della malattia, il risultato c’è. Ma se la riduzione è solo del 5% o la durata dell’effetto risulta minima con reiterazione dell’endoterapia ravvicinata, che se ne fa l’agricoltore? Ormai siamo in una situazione molto grave e per rendersene conto basta fare un giro per le campagne del Salento”.

Indagine parlamentare

Il professor Nigro convocato i primi di luglio per un’audizione alla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati per l’Indagine conoscitiva sulla Xylella. “Dopo dieci anni ancora siamo alle audizioni. Ma ormai è chiaro che servono nuove normative e risorse, che sono oggi risibili per il fenomeno. Gli ulivi secolari non sopravvivono e non sopravviveranno se non agiamo in modo scientifico. Se avessero abbattuto subito gli ulivi infetti come previsto dalla normativa europea non saremmo qui a piangere…» C’è la tendenza a dire che l’epidemia ha rallentato, che le pratiche di contenimento, di mitigazione e convivenza con il batterio funzionerebbero. In realtà, guardando queste campagne, è il disastro: il rallentamento nelle epidemie – avvertono gli esperti – avviene perché si è fatto il deserto intorno (piante secche), il batterio colpisce altre specie, non c’è ancora nessuna prova che con “protocolli” e pratiche a base di zinco e rame – tra l’altro reiterate infusioni di sostanze non proprio salutari – si torni alla produzione.

Handicap del costo

Con questo nanocomposto la carica batterica dovrebbe ampiamente diminuire (forte riduzione della crescita) e inibire la produzione di biofilm che in questi casi favorisce lo sviluppo e la proliferazione dei batteri. Anche l’osservazione diretta sulle foglie potrà dare immediate risposte. Una review di studi del passato giugno – 2024 -, realizzata dall’università di Perugia e di Chieti e dal CREA (Orfei, Moretti, Scian, Paglialunga, Loreti, Tatulli, Scotti, Aceto, Buonaurio; quasi tutti coautori della ricerca pubblicata l’anno scorso), per quanto riguarda l’utilizzo di Argirium SUNc ha registrato sia i punti di forza di questo nanobattericida – riproducibilità del metodo di sintesi, purezza e stabilità, efficacia – rispetto ai comuni trattamenti a base di rame e zinco, ma anche i limiti. E il limite attualmente più grande è il costo – ampiamente superabile una volta creato un impianto di produzione e la diffusione del prodotto. «Ad oggi – risponde Luca Scotti – parliamo di circa 15 mila euro al litro, come fosse il costo di un prototipo. Il vero investimento sarebbe l’impianto di produzione. E Stefano Convertini aggiunge una nota di realismo: «Chiaramente, anche con risultati di campo altamente soddisfacenti, servirà comunque tempo e risorse economiche per l’applicazione in larga scala».

Xylella story: 6,5 milioni di alberi distrutti

La Xylella fastidiosa subspecie pauca, ceppo ST53 è arrivata in Italia intorno al 2008 dalla Costa Rica nell’importare piante di caffè e materiale floro-vivaistico, Paese dove il batterio si sarebbe originato ed evoluto. La Xylella ostruisce i vasi conduttori della linfa grezza che trasporta acqua e sali minerali dalle radici alla chioma, agisce bloccando il flusso come un tappo e facendo seccare via via le parti colpite. Il primo focolaio pugliese risale a circa 10 anni fa intorno a Gallipoli. In Puglia dal 2013 la Xylella ha distrutto circa 6,5 milioni di alberi d’olivo, in particolare le varietà antiche della Ogliarola salentina e della Cellina di Nardò, colpendo le valli degli ulivi secolari. Il batterio è trasportato dall’insetto vettore cicalina, chiamato volgarmente “sputacchina”. Dei 60 milioni di ulivi nelle zone pugliesi interessate, sarebbero circa 15-20 milioni i “contagiati”.

Una convivenza con la malattia è improbabile

Negli anni la carica batterica e l’aggressività della Xylella fastidiosa si è attenuata (e di conseguenza l’avanzata sul territorio), anche per le pratiche agricole imposte come prevenzione e terapia di rallentamento. In realtà, una “convivenza” con la malattia appare assai improbabile e finora una cura non esiste. Sottospecie meno aggressive di Xylella, con piccoli focolai, esistono in Toscana, Lazio, Spagna (Alicante e Baleari), Francia (Corsica, Costa Azzurra e altre zone). Marie Bové, membro dell’Accademia delle scienze di Parigi, massimo esperto di Xylella degli agrumi ha detto: “Questa è la peggior emergenza fitosanitaria al mondo”. In Italia però i trattamenti raccomandati, anche sulla base di studi pubblicati, in particolare quello pubblicato su Scientific Reports, del team di Marco Scortichini del CREA trattamenti sulla chioma o con endoterapia con una concentrazione molto bassa di un composto a base di zinco, rame, acido citrico. Anche qui si cerca di abbattere o indebolire la carica batterica e la devitalizzazione delle cellule e del biofilm della Xylella. I lavori sul terreno in specifici periodi servono per impedire lo sviluppo del vettore “sputacchina”. In più occorrerebbero potature equilibrate dell’albero (ma qui c’è chi dissente: indebolirebbero l’ulivo) e il mantenimento di una buona fertilità del suolo. Gli innesti con varietà resistenti è pratica che finora “non è stata validata scientificamente”.

Le risorse

L’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, con fondi europei significativi, si è concentrata sulla ricerca di piante resistenti (Leccino e Favolosa-Fs17 oltre a Lecciana e Leccio del Corno), sugli insetti vettori, su strategie mirate di controllo degli organismi nocivi e tecnologie avanzate per il rilevamento precoce quali le tecniche di analisi delle immagini. Esistono consorzi europei ed extraeuropei al lavoro (Biovexo, Erc MultiX e Euphresco). È stato persino finanziato un fumetto a scopo informativo e divulgativo. I cambiamenti climatici (temperature molto alte, violenti e concentrati rovesci di pioggia, siccità) hanno anche loro effetti peggiorativi e favorevoli alla diffusione sia del batterio Xylella che di funghi.